I paesi dell’Unione europea hanno raggiunto un obiettivo (quasi) impossibile: un patto sulle migrazioni. L’8 giugno ventuno stati dell’Unione hanno approvato un accordo “storico” che punta, per la prima volta in molti anni, a ridefinire le procedure di esame e ricollocamento dei richiedenti asilo. Se il patto supererà le fasi finali dei negoziati con il parlamento europeo, potrebbe cambiare il volto delle politiche migratorie dell’Unione. I conflitti e le modifiche sono tuttavia inevitabili e nessuno sa con certezza come saranno applicate le misure.
L’accordo segna un punto di equilibrio tra due ampi schieramenti: quello dei paesi di frontiera, che chiedono più sostegno nella gestione dei richiedenti asilo, e quello dei paesi interni, per i quali i migranti che arrivano e si spostano senza permesso nell’Unione sono troppi.
In base all’accordo, gli stati di frontiera dovranno istituire una procedura più rigida per esaminare le richieste d’asilo. Avranno inoltre più margine di manovra nel rimpatriare le persone la cui domanda sarà respinta. Gli altri stati potranno scegliere se accettare di accogliere un certo numero di migranti ogni anno o se versare dei soldi in un fondo comune. I sostenitori dell’accordo lo presentano come un compromesso creativo, che offre aiuto ai paesi di frontiera senza costringere gli altri ad accogliere i migranti. I difensori dei diritti umani temono, però, che un irrigidimento dei controlli sulle richieste d’asilo effettuate direttamente alla frontiera faccia proliferare i centri di detenzione, dove le persone possono restare rinchiuse per mesi, spesso in condizioni disumane.
In che modo cambia la procedura di richiesta d’asilo in Europa?
Probabilmente il cambiamento sarà drastico. Il nuovo sistema prevede due percorsi: una procedura più rigida, direttamente alla frontiera, che potrebbe comprendere anche un breve periodo di detenzione, e una seconda più permissiva. Una preselezione determinerà quale percorso far seguire a ogni persona.
Determinante sarà il parere dei funzionari sulla possibilità che la richiesta di asilo sia accettata o meno. I migranti con meno garanzie di ricevere protezione dovranno probabilmente affrontare la procedura più rigida. L’obiettivo è esaminare ogni domanda raccolta alla frontiera in dodici settimane.
Un’importante concessione ai paesi dell’Europa meridionale prevede che i governi avranno la possibilità di congelare il protocollo più rigido se le richieste dovessero superare una certa soglia. Inizialmente questa soglia è fissata a trentamila domande in un singolo paese, ma dovrebbe crescere ogni anno fino a raggiungere la cifra complessiva di 120mila domande nell’intera Unione. All’interno di questa quota, ogni paese avrà una soglia specifica.
Che cambierà per i richiedenti asilo le cui domande saranno respinte?
Saranno rimandati rapidamente verso un numero più ampio di paesi, che potrebbero anche essere diversi da quello in cui vivevano. Questo è stato il tema più spinoso nei negoziati, quello su cui Germania e Italia si sono scontrate duramente. Da tempo l’Italia chiede di poter respingere i migranti le cui domande d’asilo non saranno accettate verso un maggior numero di stati, ma la Germania si è sempre opposta, sostenendo che l’Unione non può mandare le persone in paesi che non rispettano i diritti umani.
L’accordo finale è più vicino alla posizione dell’Italia, con la quale si sono schierati una decina di governi. Il principio del rispetto dei diritti umani resterà valido a livello europeo, ma spetterà a ogni stato stabilire se un paese terzo rispetta gli standard internazionali in materia.
Tra le persone coinvolte nei colloqui è diffusa la convinzione che l’Italia userà questa clausola per rimandare le persone in Tunisia, oggi uno dei principali paesi di transito per chi cerca di arrivare in Europa. Un migrante potrà essere rimandato in un paese in cui è “rimasto” per un po’ di tempo o dove si era “stabilito”, o in cui si trova la sua famiglia. Chi difende i diritti di queste persone, però, teme che l’Unione non riuscirà a costringere ognuno dei suoi stati a rispettare questo standard e che si finirà per applicare le regole a proprio vantaggio.
In base all’accordo i migranti saranno ricollocati in tutta Europa?
Sì, ma non ovunque. Per anni si è assistito a un dibattito divisivo, in cui paesi come l’Italia volevano il “ricollocamento obbligatorio” dei migranti negli altri stati europei. Allo stesso tempo Polonia e Ungheria, tra gli altri, si opponevano categoricamente a questa eventualità. Il punto di arrivo dell’accordo è definito “solidarietà obbligatoria”. L’obiettivo è ricollocare almeno trentamila persone ogni anno, se necessario, ma i singoli paesi potrebbero scegliere se accoglierle o pagare ventimila euro per ognuna di quelle che non avranno accolto. Con una concessione all’Italia, i soldi potranno confluire in un fondo collettivo che Bruxelles userà per finanziare dei non meglio definiti progetti all’estero.
La clausola è stata intesa sostanzialmente come un modo per dare soldi a stati come la Tunisia, sensazione rafforzata dalla successiva visita a Tunisi della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, insieme alla presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni e al primo ministro olandese Mark Rutte. Anche questo compromesso è stato accolto da alcuni con rabbia: i funzionari polacchi stanno già minacciando di boicottare questo sistema.
Che succede ora?
Tutti i negoziati europei hanno diverse sfaccettature e qualcosa di bizantino. Quello sulle migrazioni non fa eccezione. Tra i paesi c’è sufficiente intesa, ma devono ancora vedersela con il parlamento di Strasburgo. Molti eurodeputati di sinistra hanno sollevato dubbi sulle procedure di esame delle domande alla frontiera, che finirebbero per creare nuovi centri di detenzione. Si registrano inoltre frustrazioni sull’ampliamento delle politiche di rimpatrio e sulla prospettiva di limitarsi a pagare dei paesi esterni all’Unione perché si assumano più oneri.
L’intesa raggiunta questa settimana mette l’Unione europea nella posizione di chiudere la riforma del sistema d’asilo e delle migrazioni entro le elezioni europee del giugno 2024. Che si riesca a farlo o no, sarà sicuramente un tema di quella campagna elettorale. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1516 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati