Si è svolta a Londra la Defence and security equipment international, la più grande fiera mondiale di armi, sostenuta dal governo britannico.
C’erano cinquantamila delegati da paesi come Stati Uniti e Arabia Saudita, Qatar e Francia. Ne ha parlato il British Medical Journal (Bmj) in un editoriale intitolato “Dividendi di pace nell’era degli armamenti”.
Dalla fine della seconda guerra mondiale non ci sono mai state tante guerre. E dalla fine della guerra fredda non è mai stato così acceso il dibattito sulle spese militari.
Se negli anni ottanta e novanta, in un periodo di relativa calma, i governi avevano tagliato i fondi agli eserciti per investire nel welfare e nei servizi pubblici, l’instabilità di oggi ha rimesso in discussione queste scelte.
Ne sono prova l’impegno del Regno Unito ad aumentare la spesa per la difesa al 2,5 per cento del pil entro il 2027 e la promessa dei paesi della Nato di spendere il 5 per cento del pil per la difesa entro il 2035. Sono soldi sottratti alle spese per la sanità, per l’istruzione, per gli aiuti allo sviluppo, scrive il Bmj.
E se è vero che l’Europa deve ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti in materia di sicurezza, non dovrebbe farlo a scapito del welfare.
Con i servizi pubblici in difficoltà e la crisi economica che colpisce molti paesi, sottrarre investimenti a questi settori, anche in un contesto geopolitico instabile, sembra sproporzionato e preoccupante: la sicurezza nazionale è fondamentale, ma per il benessere delle popolazioni e delle società lo è anche la spesa sanitaria e assistenziale.
Nel 2023 i ricavi delle cento maggiori aziende produttrici di armi hanno superato i 630 miliardi di dollari. Nel 2024 la spesa militare globale ha superato i 2.700 miliardi di dollari. E nel 2025, con l’intensificarsi dei conflitti e l’aumento dei bilanci della difesa, “l’umore dei venditori di armi è ottimo”.
Si dice che in guerra non ci sono vincitori, ma solo perdenti. Non è vero, un vincitore c’è sempre: è l’industria delle armi. ◆
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 3. Compra questo numero | Abbonati