Può sembrare una battaglia d’altri tempi, quella tra Gerry Scotti e Stefano De Martino. L’anziano maestro che con un programma storico come _La ruota della fortuna _ridimensiona la giovane promessa lanciata per talento e assenza di rivali nell’infinito televisivo e oltre. La vecchia scuola – quella dei giganti, con biografie piene e intrecciate alla storia collettiva, capaci di andare oltre lo schermo – contro la nuova leva, dal successo fisico, virale, inarrestabile. Il professionista che veste in giacca d’ordinanza e dà l’idea di non portarsi il lavoro a casa versus l’allievo in continua produzione, pubblica e privata. Il padre fondatore e il rottamatore, per usare un lessico recente ma quasi dimenticato. E invece no. Nessuno scontro generazionale. Ci piacerebbe, avrebbe senso. Ma non è questo il caso. La nevrotica sfida dei numeri congela entrambi in un presente continuo che livella ogni differenza. Scotti deve restare non solo vivo e vegeto, ma anche acceso e ambizioso come un ventenne, tanto che Berlusconi jr lo celebra in diretta come il migliore della classe. E al bravo e promettente De Martino basta un inciampo per essere retrocesso al girone dei “non sarai mai come Pippo Baudo”. Così, nel perimetro di una tv che riduce il passato a un rito e rifugge ogni ipotesi di futuro, i due si ritrovano concorrenti di un gioco molto più ostico di quelli che conducono, privati della rassicurazione di un prima e dell’aspirazione a un dopo. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati