Accanto alle turbolenze televisive, alle difficoltà editoriali e agli scossoni politici, resiste granitica l’amicizia tra Fiorello e Amadeus. Legame antico, nato tra radio e saliscendi, fuorisede a Milano, che il tempo ha trasformato in complicità. Aiutano anche i destini artistici: Fiorello ha conquistato una posizione così autorevole che, oltre a essere l’unico a poter perculare la dirigenza Rai senza essere declassato, può aiutare l’amico inquieto quando il suo destino vacilla. Nei giorni scorsi Amadeus, il cui nome sui canali pubblici è più nefasto del viola nei teatri, è comparso tra gli ospiti del nuovo programma di “ciuri”, La pennicanza (RadioDue), un gesto che suona come una semina per un possibile ritorno. Questo rapporto, che i critici potrebbero ricondurre al fenomeno dell’amichettismo – favorire il conoscente in barba al merito – date le condizioni attuali appare più vicino alle recenti tesi “a sinistra” del filosofo francese Geoffroy de Lagasnerie, per il quale l’amicizia può farsi contropotere, uno spazio di libertà che genera creatività e ribalta le convenzioni. Incarna, scrive de Lagasnerie, l’utopia del “vivere altrimenti”, indifferente a lodi e stigmi che calano dall’alto, alle istituzioni e alla famiglia. L’idea che l’amicizia possa essere rivoluzionaria mi lascia freddo, ma in assenza di altro comprendo che “ci vorrebbe un Fiorello nel dolore e nel rimpianto” può essere un sollievo e una legittima ambizione. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1617 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati