Se censurare significa impedire che tu possa scrivere, parlare o cantare, al concerto del primo maggio (Rai 3) Fedez non è stato censurato. Però ha abilmente costruito a ritroso la storia della presunta censura. È andato sul palco avvertendo: ciao le parole contro l’omofobia della Lega che sto per leggervi la Rai non voleva che le leggessi. La Rai ci casca e dice: ma noi non te lo abbiamo impedito (infatti stai qui sul palco a dirle). Palla a Fedez che fa gol diffondendo la telefonata con i dirigenti che gli spiegano che mettere in mezzo un politico senza contraddittorio è inopportuno. Si chiama moral suasion, la fanno anche i direttori con il cronista troppo intraprendente. Ma ormai la storia della censura ha fatto breccia. I social insorgono. La politica, che arriva sempre terza, pure. Destri e sinistri chiedono la testa dei capi Rai che loro stessi hanno nominato. Tornano sul vecchio slogan “fuori la politica dalla tv” ma nessuno che riconosca alla tv la sua autonomia editoriale (fosse anche quella di correggere il tiro di un ospite). Che paradosso. La Rai, timorosa dei politici, impegnata a contenere artisti e masanielli, si trova a scontentare tutti. Ma la colpa è di chi ha strappato il servizio pubblico dal controllo del parlamento per buttarlo nell’abbraccio del governo. Ed è difficile fare la cosa giusta quando il terreno di gioco è solo propaganda. Anche nella situazione doppiamente paradossale in cui al governo ci sono tutti. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1408 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati