Quest’anno bitcoin ha ipnotizzato molti investitori. E non solo per il fatto che il suo prezzo è triplicato nel 2020 o perché ha incassato il sostegno di personaggi come Elon Musk. La cosa ancora più straordinaria è che oggi alcuni investitori istituzionali come la Citigroup ritengono che bitcoin possa diventare “la valuta globale di riferimento per gli scambi”, un ruolo attualmente ricoperto dal dollaro. Tuttavia, lontano dai riflettori, ci sono gli esperimenti delle banche centrali. A marzo, a una conferenza organizzata dalla Banca dei regolamenti internazionali (Bis), Jerome Powell, il presidente della Federal reserve (Fed, la banca centrale degli Stati Uniti), ha spiegato che il suo istituto sta lavorando con il Massachusetts institute of technology (Mit) di Boston a una valuta digitale basata sul dollaro. Non ci sono molti dettagli, ma una valuta digitale della banca centrale (cbdc) in sostanza permetterebbe alle persone di usare come denaro un codice informatico, riprendendo dunque alcune caratteristiche dei bitcoin. Questo codice, però, sarebbe creato e controllato dalla Fed, non da “minatori” senza volto.
Due grandi difetti
All’inizio molti banchieri centrali avevano snobbato il bitcoin, ma ora stanno comprendendo che le criptovalute e altre innovazioni della tecnofinanza rispondono a due grandi difetti della finanza moderna. Uno ruota intorno a una cosa che le banche centrali sembrano non sapere o non voler affrontare: il rischio che in futuro la moneta legale sia svalutata da un eccesso di offerta, per esempio a causa delle politiche monetarie espansive. L’altro è qualcosa di cui in realtà i banchieri centrali vorrebbero occuparsi: la pesantezza del moderno sistema dei pagamenti. Come ha osservato di recente Powell, “la crisi del covid-19 ha reso ancora più urgente la necessità di affrontare i limiti dei nostri accordi attuali sui pagamenti internazionali”. Per questo la Fed e le altre banche centrali stanno cercando una versione mitigata della strategia “se non puoi batterli, unisciti a loro”: invece di ignorare il bitcoin, sperano di sfruttarne alcune caratteristiche alle loro condizioni.
Funzionerà? Ci sono buone ragioni per essere scettici. Un problema è lo stile: chiedere ai banchieri centrali di abbracciare la creatività dinamica della tecnofinanza è come chiedere al nonno di ascoltare il rap. Un’altra questione è che le cbdc provocano pesanti mal di testa normativi. Attualmente le banche commerciali riscuotono delle commissioni “creando” denaro per i consumatori (prestiti) con quello fornito da una banca centrale. Una cbdc darebbe ai consumatori il denaro iscritto sui registri digitali delle banche centrali. Questo potrebbe privare le banche del loro ruolo di intermediari e annientare i loro guadagni.
Poi ci sono le questioni legate ai dati, alla privacy e alla responsabilità. Le banche centrali potrebbero non voler conservare i dati dei clienti sui loro registri. Gli investitori potrebbero non vedere di buon occhio la perdita dell’anonimato legato al contante. Una soluzione è che le cbdc coesistano con il contante. Tuttavia la logistica e il quadro normativo potrebbero scoraggiare, non ultimo perché, secondo un recente sondaggio della Bis, solo un quarto delle banche centrali ha l’autorità legale per creare una valuta di questo tipo.
Sarebbe però sbagliato pensare che non succederà nulla. Lo stesso sondaggio suggerisce che il 60 per cento delle banche centrali sta prendendo in considerazione le valute digitali e che il 14 per cento sta facendo dei test. Le Bahamas hanno già una cbdc, il sand dollar. E, cosa ancora più significativa, la Cina sta accelerando nella creazione di uno yuan digitale, cosa che preoccupa molto gli Stati Uniti, convinti che sia una minaccia alla competitività del dollaro.
Se queste iniziative dovessero decollare, potrebbero eliminare alcune delle motivazioni alla base dei progetti di criptovalute privati. Quelli che vogliono eliminare gli intermediari nella circolazione della valuta legale sarebbero a quel punto disintermediati. Chi ha investito in bitcoin farebbe bene a seguire cosa succede a Pechino e a Boston. ◆ gim
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1403 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati