Ci voleva un concorso per scrittori horror in erba, vinto dalla giovane Soshichi Tonari, affinché un maestro del fumetto e dell’horror giapponese come Junji Ito, normalmente edito in bianco e nero, potesse finalmente cimentarsi con il colore, tendenzialmente bandito dai fumetti manga tranne che, a volte, in poche pagine d’apertura. Tuttavia il manga, nel fumetto, resta l’unico ambito prediletto dai giovani in cui, grazie al bianco e nero, il segno grafico è ancora dominante. Un grande autore come Moebius, fortemente colpito dalla sua potenza espressiva e onirica, portò in Francia Ito già negli anni novanta facendone pubblicare un racconto in un numero speciale della rivista À suivre, quando ancora il manga era un pianeta quasi sconosciuto. In questo caso siamo più sul libro illustrato che, come per tanti libri per l’infanzia delle edizioni Orecchio Acerbo qui segnalati, annulla i confini con il fumetto, quello con poco o nessun testo (in quest’ultima casistica rientra per esempio Arzach di Moebius). E qui, anche se il testo c’è, è più vero che mai, grazie anche al grande formato di questo cartonato. L’intensa colorazione a olio dell’autore su tavole che occupano quasi sempre le due pagine, fa di questi occhi e facce onnipresenti la perfetta rappresentazione del confine labile tra paranoia (un po’ lovecraftiana) e percezione ultrasensibile del reale (come quella di un artista), in questo caso infantile. Magistrale.
Francesco Boille
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Questo articolo è uscito sul numero 1633 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati