Far percepire i movimenti minimi o il visibile più prossimo all’invisibile, dal fruscio tra gli alberi al movimento dell’erba o di una nuvola, è sempre stato tra gli intenti centrali della poetica di Lorenzo Mattotti. Il rumore della brina, pubblicato nel 2001 a puntate sul Frankfurter Allgemeine Zeitung, vede nuovamente Mattotti insieme al grande sceneggiatore argentino Jorge Zentner dopo il visionario Caboto, concepito nel 1997 e incentrato su Sebastiano Caboto, l’esploratore contemporaneo di Cristoforo Colombo. Qui, il protagonista fugge dai “mostri del rumore”, fantomatici uccelli giganti dalla sagoma nera che incombono fin dall’inizio. Gli autori, in perfetta simbiosi, creano una mirabile narrazione dove all’esplorazione fisica del mondo, saldata a quella dell’anima che si fa oscurità (Caboto), succede, all’inverso, quella dell’esplorazione interiore (Samuel Darko, uno di noi) che si fa esplorazione sofferta ma luminosa del mondo fisico. Andando quasi agli antipodi degli antipodi, cioè dalla desertica Patagonia a un’Europa indefinita, la cartografia caotica del mondo diviene altrettanto indefinita e si muta in caos dei sentimenti amorosi. Equivalendosi magistralmente: per la prima volta i paesaggi del sentimento si fanno paesaggi del mondo e viceversa. Tutto è rovesciato. Invece del racconto di formazione, un grande viaggio spirituale di riformazione. Verso la terra, concreta, della conquistata maturità. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1557 di Internazionale, a pagina 101. Compra questo numero | Abbonati