Il francese Jérémie Moreau, già premiato al festival di Angoulême nel 2018, è influenzato dal manga, a cominciare dal suo tratto più distintivo, gli immancabili occhioni. Qui i volti-logo dei personaggi simboleggiano l’infanzia dell’umanità, dell’arte, del fumetto stesso. Gli occhioni sono invece lo stupore per il mondo, che si trasforma in rabbia assoluta per la sua silenziosa crudeltà. Racconto di formazione, sia del singolo sia della collettività umana in un oscillare continuo tra incontro e scontro, in una certa misura avventuroso ed epico, Moreau, come a far da contrappunto ai personaggi in stile manga, fa uso di una pittoricità che dialoga con il fumetto sperimentale per indagare le pieghe del mondo. L’indagine ossessiva dei segreti nascosti in ogni interstizio porta a un racconto quasi fantastico su come possa esser nata l’agricoltura, per assurgere poi a metafora dell’agire umano e della disperazione esistenziale che spesso ne consegue. Perché se la rabbia del protagonista lo porta a voler dominare il mondo, è anche vero che se questa volontà di dominare e non esser dominati diventa ossessiva, si arriva a dimenticare gli altri, l’amore, l’umanità intera e si finisce quindi all’autodistruzione. Moreau racconta il passato più antico per parlarci di quello con cui si confronta l’umanità moderna. Una parabola morale che riesce a essere una lettura profonda ma rilassante per l’estate in arrivo.
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Questo articolo è uscito sul numero 1411 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati