Se il secondo volume dei Quaderni era un capolavoro assoluto per intensità e apriva nuove strade al fumetto, questo terzo capitolo si rivela comunque unico. Sotto forma di diario intimo della memoria, dal ricordo e dal sentire personale si assurge all’universale. Igort prende per mano il lettore con meravigliose immagini miscelate a tante informazioni e considerazioni date con una delicatezza quasi giapponese, e il lettore non si accorge, fatto salvo alla fine, di aver letto anche un saggio. Qui, dove i segmenti a fumetti sono relativamente pochi, l’autore inventa qualcosa di nuovo. È una sorta di soffitta mentale in cui rovista con lo scopo di penetrare nel Giappone nascosto e scoprire cosa celi il Giappone ufficiale dietro l’apparenza della grazia, della delicatezza, dell’efficienza. Qualità che Igort sembra comunque apprezzare sinceramente: è attratto però come una calamita dalla dimensione metafisica, e in qualche modo poetica, degli artisti marginali o underground, specialisti del grottesco e dell’orrido, dal settecento al manga, come il maestro dell’horror Suehiro Maruo. Un viaggio trasversale che va dal kibyoshi del periodo Edo al manga e al cinema dei pinku eiga e roman porno, passando per gli ukiyo-e, le muzan-e, gli shunga. Igort ci rivela un secolare organismo unitario sotterraneo, l’ero-guru-nansensu, letto come anima amorosa del Giappone e insieme suo scandaglio eversore.
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Questo articolo è uscito sul numero 1401 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati