L’opera, del 1976, è forse il miglior esempio della collaborazione nata tra il regista Suzuki Noribumi e il mangaka Kazuo Kamimura. Kamimura, che spesso mette al centro la donna e il suo rapporto con la società, ibrida i generi tra loro con anarchia e vera follia, con lo stesso furore delle donne dei suoi racconti. I toni, spesso forti, hanno qualcosa del gore o del grand guignol; il sesso è onnipresente. E forte, anche grazie a raffinate allusioni grafiche, sia nelle singole vignette sia nell’architettura della tavola. Degno cugino del cinema dei pinky violence e dei più raffinati roman porno che fiorivano negli anni settanta, di cui Suzuki fu tra i maestri riconosciuti, Il parco dei cervi è ambientato nel mondo del cinema dove un regista intende adattare il racconto La passione del serpente di Ueda Akinari. Gli autori, come ricordato nella postfazione, con il titolo fanno però riferimento sia all’omonimo romanzo di Norman Mailer sia al bordello di Luigi XV. Tutto s’incastra e si ibrida, offrendo un bell’esempio di metanarrazione e metalinguaggio con aspetti d’avanguardia. La sovversione per mano femminile di ogni simbolo e istituzione maschile, compresa la chiesa di Roma (un aspetto costante nel cinema di Suzuki Noribumi) sembra colpire in modo duplice anche il simbolo del serpente: onnipresente nella mitologia giapponese, qui sovverte anche il concetto di peccato originale.
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Questo articolo è uscito sul numero 1395 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati