Nato nel 1937 a Gubbio, in Umbria, in un ambiente modesto, Goffredo Fofi parte per Palermo a diciott’anni per unirsi alla causa di Danilo Dolci, ispirata al pacifismo gandhiano e volta alla riabilitazione delle classi più svantaggiate.
Nella prima metà degli anni sessanta vive a Parigi, dove collabora con la rivista Positif. A metà del decennio, insieme a Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi, fonda in Italia la rivista Quaderni piacentini. Nel 1964 scrive il libro inchiesta L’immigrazione meridionale a Torino, rifiutato da Einaudi ma pubblicato da Feltrinelli.
Nel corso della carriera partecipa alla fondazione di diverse riviste, tra cui Ombre rosse, Lo straniero e Linea d’ombra. Dirige anche la rivista Gli asini. Amico di numerosi scrittori, registi e intellettuali – Fabrizia Ramondino, Laura Betti, Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini – è conosciuto per le sue prese di posizione spesso radicali ma anche per la sua capacità di smorzare le tensioni con un semplice gesto di tenerezza. Collabora con diversi quotidiani, tra cui Avvenire, il manifesto, l’Unità e Il Sole 24 Ore, esplorando tutti i campi della cultura con uno sguardo cosmopolita. È stato un saggista prolifico e ha lavorato con molti editori di primo piano, tra cui Einaudi, Feltrinelli, e/o, minimum fax e La nave di Teseo.
Mi faceva ridere
Lo scrittore Nicola Lagioia lo descrive come “il padre, il maestro di molti di noi. Le buone pratiche, la generosità, l’intelligenza, l’altruismo, la capacità di immaginare il futuro, perfino di costruirlo. La bellezza vera. Tutto quello che oggi non stiamo riuscendo a fare. Ciao Goff. Grazie. Scusaci di essere così poco all’altezza”.
Sandro Ferri, direttore della casa editrice e/o, con cui Fofi aveva lavorato spesso negli ultimi anni, scrive che “su Goffredo leggeremo tante cose, perché era un uomo dalle tante vite, dalle tante passioni, dalle tante amicizie, dai tanti umori addirittura. Lo voglio ricordare solo per un paio di queste cose straordinarie che erano sue e che ha sempre trasmesso agli altri. Mi faceva ridere. […] Coglieva gli aspetti contraddittori delle persone, i loro difetti e debolezze, ma con umanità. Era così: ti attaccava violentemente, ma poi ti abbracciava. Ti faceva morire dal ridere e, al tempo stesso, morire per una visione tragica che aveva del mondo. Era un contadino cresciuto nelle campagne povere dell’Umbria ed era anche un intellettuale cosmopolita, capace di confrontarsi con l’immensa varietà del mondo. […] Ha sempre pagato il prezzo di questo anticonformismo e di questo coraggio e di questo rifiuto di chiudersi dentro gli asfittici recinti del nostro mondo intellettuale”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1623 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati