Najee Ali, un attivista nero di Los Angeles, non si aspettava quella telefonata. Quando Sia Marie Xiong, una donna di origine asiatica, è stata trovata morta in un appartamento, lo sceriffo ha escluso che il crimine fosse motivato dall’odio razziale. Ma i familiari di Xiong, consapevoli dell’aumento degli attacchi contro le persone di origine asiatica, chiedevano ulteriori indagini. E avevano bisogno di aiuto. “Il fatto che una famiglia asiatica abbia chiamato un attivista nero è significativo”, sottolinea Ali. Pochi lo sanno meglio di lui. Qualche giorno prima di ricevere la telefonata aveva partecipato a una cerimonia per ricordare Latasha Harlins, un’adolescente nera uccisa trent’anni fa con un colpo di pistola alla nuca da un commerciante coreano convinto che Harlins avesse rubato un succo di frutta. Quell’episodio rovinò i rapporti tra gli asiatici e i neri e contribuì a far esplodere le rivolte di Los Angeles del 1992. È servito un altro omicidio – quello di George Floyd a Minneapolis, nel maggio del 2020 – per far emergere un sentimento di solidarietà tra le due comunità, diventato ancora più forte dopo che sei donne di origine asiatica sono state uccise ad Atlanta. Durante le veglie organizzate per le vittime in Georgia e per gli asiatici aggrediti nelle strade della California, gli attivisti neri hanno offerto il loro sostegno. La stessa cosa succede in tutto il paese. Uno dei primi leader neri a denunciare l’odio nei confronti degli asiatici è stato il reverendo James Woodall, presidente dell’Associazione nazionale per la promozione delle persone non bianche della Georgia.

È sorprendente il modo in cui molte persone, sia nere sia asiatiche, hanno risposto all’aumento dei crimini d’odio degli ultimi mesi. Invece di concentrarsi sui singoli colpevoli e chiedere alle autorità di fare di più per prevenire e punire i crimini, gli attivisti denunciano il suprematismo bianco e il razzismo strutturale. Secondo Ana Iwataki, attivista di Los Angeles, le cose sono cambiate con le proteste per l’omicidio di Floyd. “Il dibattito si è spostato su come attuare le politiche antirazziste, e su quale debba essere il contributo della polizia”, spiega Iwataki, 32 anni. “È necessario portare avanti queste discussioni complesse su cosa sia la sicurezza, su chi vogliamo proteggere e su come immaginiamo la comunità”.

Dopo le manifestazioni

La comunità nera e quella asiatica non sono sempre state in conflitto nella lotta per la giustizia razziale. Iwataki ricorda sua zia Miya, che negli anni sessanta fece da raccordo tra le Pantere nere e il movimento degli asiatici statunitensi. Melina Abdullah, leader di Black lives matter cresciuta nella zona di San Francisco, ricorda la convivenza spesso complicata in un quartiere per metà nero e per metà asiatico. “Tutto convive: il conflitto ma anche la solidarietà. Ci si muove insieme in spazi diversi”.

Ali spiega che molte persone della sua generazione provano ancora un forte risentimento per l’omicidio di Latasha Harlins e per il fatto che l’assassino non sia stato in carcere neanche un giorno e abbia ricevuto il sostegno della comunità coreana. Questo è uno dei motivi per cui la solidarietà è più semplice per gli attivisti giovani, che sanno cosa è successo in passato ma non hanno lo stesso legame emotivo con eventi lontani. Resta da capire se, finite le manifestazioni per gli attacchi di Atlanta, questa alleanza sopravvivrà. ◆ as

Da sapere
Sotto attacco
Crimini motivati dall’odio negli Stati Uniti nel 2019 e nel 2020. (Fonte: California state university)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1403 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati