“Le Pantere nere sono la singola principale minaccia alla nostra sicurezza nazionale. Il nostro controspionaggio deve evitare che da loro emerga un messia nero”. Judas and the black messiah, diretto da Shaka King, comincia con questa funesta dichiarazione del direttore dell’Fbi, J. Edgar Hoover (interpretato da Martin Sheen), nel 1968. Il film racconta in parallelo le storie del vicepresidente delle Pantere nere, Fred Hampton (Daniel Kaluuya) e dell’informatore che aiutò l’Fbi a orchestrarne l’assassinio, Bill O’Neal (Lakeith Stanfield). E mostra la repressione dei movimenti di liberazione dei neri condotta dal Cointelpro (il programma di controspionaggio dell’Fbi), i cui effetti si fanno sentire ancora oggi.

Gli spettatori scoprono che le Pantere nere, fondate nel 1966 da Huey Newton e Bobby Seale per contrastare la violenza delle autorità, furono prese di mira dall’Fbi con un’aggressività senza pari: 233 delle 295 azioni del Cointelpro contro gruppi di neri ebbero come obiettivo le Pantere. Judas and the black messiah offre uno sguardo ravvicinato su quella che fu forse l’azione più sconvolgente.

Una prospettiva da rovesciare

Nella prima parte del film vediamo O’Neal, capo della sicurezza della sezione di Chicago delle Pantere, servire la colazione ad alcuni bambini neri (a un certo punto Hampton si vanta del fatto che la sezione offre pasti gratuiti a “tremila bambini alla settimana”). O’Neal aiuta l’organizzazione a fornire cure mediche agli abitanti neri e frequenta i corsi di educazione politica di Hampton. Il vicepresidente insiste che “serve l’aiuto di tutti” per vincere la guerra contro il governo “razzista, fascista e spietato”, e costruisce una “coalizione arcobaleno” che include componenti di una gang nera locale, un gruppo radicale formato da portoricani e un gruppo militante di bianchi poveri.

Queste scene servono a smontare la retorica dell’Fbi sulle Pantere nere. L’agente del Cointelpro, Roy Mitchell (interpretato da Jesse Plemons), che ha preso parte alle indagini sugli omicidi degli attivisti James Chaney, Andrew Goodman e Michael Schwerner, uccisi nel 1964 dal Ku klux klan, dice: “Le Pantere e il Klan sono la stessa cosa. Il loro obiettivo è diffondere odio e ispirare terrore”. King mostra anche le Pantere nere coinvolte in sparatorie con la polizia, ma in generale le sue scelte vanno contro la versione dominante nell’immaginario collettivo statunitense di un’organizzazione violenta che ha diffuso l’odio nel tentativo di scatenare una rivoluzione nera.

Il film esplora anche l’idea che il Cointelpro non avrebbe potuto vincere la sua guerra contro le Pantere nere senza l’aiuto di altri neri. Storicamente informatori e spie come O’Neal hanno indebolito e sabotato i movimenti. Degli schiavi contribuirono a sventare due rivolte, architettate da Gabriel Prosser nel 1800 e da Denmark Vesey nel 1822, fornendo informazioni agli schiavisti. Il primo nero a lavorare per l’organizzazione che sarebbe diventata l’Fbi fu James Wormley Jones, una spia assunta da Hoover nel 1919. Il suo compito era raccogliere informazioni su Marcus Garvey, il “Mosè nero” del movimento Back to Africa, che fu arrestato ed espulso dal paese. Fin dagli anni sessanta, O’Neal e altri settemila informatori neri collaborarono con il Cointelpro, fino alla chiusura del programma nel 1971 in seguito alla denuncia pubblica delle sue operazioni.

Judas and the black messiah (Warner Bros. Entertainment)

Nel film, più Hampton acquista influenza a Chicago e sabota lo status quo razziale, più l’Fbi lo prende di mira. Nell’estate del 1969 Hoover invita i suoi agenti a “togliere dalle strade il culo nero” di Hampton. In seguito, rivolgendosi a Mitchell, gli dice che il suo informatore è “l’arma migliore per neutralizzare Hampton”. E O’Neal, sotto pressione, fornisce all’Fbi la piantina dell’appartamento di Hampton, informazione che ne renderà possibile il brutale omicidio.

Da quando il movimento Black lives matter si è imposto all’attenzione dell’opinione pubblica statunitense, l’Fbi ha cominciato a sorvegliare le attività degli attivisti, usando informatori neri. Il 3 agosto 2017 la divisione antiterrorismo dell’Fbi ha diffuso un rapporto in cui si dichiarava che gli “estremisti identitari neri” erano una minaccia per la sicurezza nazionale. Anche se – come hanno sostenuto deputati, difensori dei diritti civili, dirigenti delle forze dell’ordine e docenti universitari – l’estremismo identitario nero non esiste, l’Fbi ha usato questo concetto per addestrare i suoi agenti a “vigilare sugli attivisti neri”.

Reazioni squilibrate e sbagliate

Meno di una settimana dopo la diffusione del rapporto del 2017, è emerso un nuovo e violento movimento sociale. A partire dall’11 agosto, gruppi paramilitari e neonazisti hanno marciato nelle strade di Charlottesville, in Virginia. Un suprematista bianco, durante il raduno, ha lanciato la sua automobile contro un gruppo di contestatori antifascisti, ferendo 19 persone e uccidendo una donna bianca di 32 anni, Heather Heyer. Durante una conferenza stampa organizzata dopo la morte di Heyer, l’ex presidente Donald Trump ha dichiarato che “c’erano bravissime persone da entrambe le parti”.

Negli Stati Uniti i movimenti nazionalisti bianchi, paramilitari ed estremisti sono cresciuti notevolmente negli ultimi due decenni, ma non sono stati perseguiti dall’Fbi con la stessa ferocia usata contro i gruppi “neri” e “radicali”. Come il paragone tra Pantere e Klan a cui si fa riferimento in Judas and the black messiah, ancora oggi la risposta del governo statunitense all’attivismo dei neri è squilibrata e anormale rispetto a quella contro i suprematisti bianchi.

Che siano violenti o no, molti movimenti neri vengono criminalizzati, e le forze dell’ordine tendono a diventare inflessibili quando si tratta di reprimere gruppi che mettono in discussione la supremazia bianca. I suprematisti bianchi, invece, sono riusciti a evitare simili livelli di sorveglianza e hanno avuto un numero minore di vittime. Il rifiuto dello stato di agire seriamente contro la concretissima minaccia dell’estremismo bianco è uno dei fattori che hanno portato all’assalto del congresso degli Stati Uniti lo scorso gennaio.

Judas and the black messiah ci dice perché è urgente che l’Fbi e, per estensione, le forze dell’ordine degli Stati Uniti, cambino priorità. Il film di Shaka King si concentra sulle disparità generate da uno stato di sorveglianza, lasciando al pubblico il compito d’immaginare come sarebbero gli Stati Uniti se la guerra al suprematismo bianco fosse combattuta con la stessa intensità di quella contro le Pantere nere cinquant’anni fa. ◆ ff

Elizabeth Hinton insegna storia,studi afroamericani e diritto all’università di Yale, negli Stati Uniti.

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Questo articolo è uscito sul numero 1398 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati