Nel 1807 la signora J. S. di Liverpool morì a 77 anni dopo aver sofferto a lungo di dolori all’utero. Era stata visitata da vari medici, nessuno dei quali aveva capito la causa dei suoi dolori. L’autopsia rivelò danni estesi agli organi della cavità pelvica e dell’addome.

Come se non bastasse John Rutter, l’ultimo medico ad averla visitata, ritenne che l’esito dell’autopsia non giustificasse il dolore riferito dalla donna e concluse che le sofferenze erano aggravate dal “nervosismo”. J. S. ricevette quindi la diagnosi postuma di isteralgia (dolore uterino associato a isteria), la famigerata etichetta affibbiata alle donne che soffrivano di un male inspiegabile e osavano dirlo apertamente.

Il suo dolore non fu preso sul serio perché J. S. era una donna. Ancora oggi il dolore di molte donne o di persone definite tali alla nascita viene negato, screditato e minimizzato, con notevoli differenze rispetto agli uomini. Questo pregiudizio ha origine negli stereotipi sul dolore che si sono radicati nel corso dei secoli nel dibattito medico sul corpo e le malattie femminili. Le ricerche sulle differenze di genere e sui relativi pregiudizi sono invece molto più recenti.

Termini frequenti

Oggi sono sempre più numerosi gli studi che dimostrano come i pregiudizi nei confronti della manifestazione femminile del dolore influiscano negativamente sulla diagnosi e sul trattamento dei disturbi. Da un’indagine del 2018 che analizzava articoli di riviste su sesso, genere e dolore pubblicati nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Europa a partire dal 2001 è emerso che i termini per indicare sensibilità, simulazione, lamento e isteria si usano con più frequenza per le donne.

Quando il dolore fisico è ignorato perché giudicato esagerato e immaginario, o scambiato per malessere psicologico, la salute e la vita stessa delle donne ne risentono in maniera significativa. Nei pronto soccorso statunitensi le donne che riferiscono dolori addominali aspettano in media sedici minuti più degli uomini prima di essere visitate e hanno il 7 per cento di probabilità in meno di ricevere cure. Nel Regno Unito la sottovalutazione del dolore femminile, scambiato per ansia, contribuisce alla mancata diagnosi d’infarto in circa il 50 per cento dei casi. Da uno studio del 2020 condotto su pazienti con endometriosi, una malattia degli organi genitali femminili la cui diagnosi richiede in media dai sette ai nove anni, è emerso che l’associazione di dolore ginecologico e disagio mentale ha causato ritardi o mancate diagnosi nel 50 per cento dei casi.

Le donne nere, asiatiche o appartenenti a minoranze etniche, che in ambito sanitario sono già penalizzate rispetto alle bianche, rischiano di veder minimizzato o ignorato il dolore per false convinzioni su una loro presunta diversa sensibilità. Come ha riferito nel 2020 il Royal college of obstetricians and gynaecologists britannico, questo tacito pregiudizio razziale porta a diagnosi mancate e tardive soprattutto in tema di salute materna e riproduttiva.

In generale le donne soffrono di dolore cronico più degli uomini. Considerando l’aumento delle malattie dolorose a carico delle donne in tutto il mondo, è fondamentale che le cause e le conseguenze delle disparità in ambito clinico siano comprese a fondo, affrontate ed eliminate. Sarebbe opportuno avere una formazione che accresca la consapevolezza dei pregiudizi, processi diagnostici attenti alle diversità di genere e ulteriori ricerche sulle origini biologiche e psicosociali delle differenze nel dolore.

Per poter arrivare a una piena parità di genere, però, è importante che la medicina guardi al futuro senza dimenticare il passato. La storia dimostra come i miti sul dolore femminile si ripresentano con forza attraverso secoli caratterizzati da grandi progressi scientifici e biomedici.

Anche se la diagnosi d’isteria è fortunatamente scomparsa, gli operatori sanitari continuano a evocarla quando considerano poco credibile una manifestazione femminile del dolore. Dobbiamo ricordarci di J. S. e mettere fine ai pregiudizi una volta per tutte. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1416 di Internazionale, a pagina 104. Compra questo numero | Abbonati