Ampiamente respinta in passato come una teoria del complotto, la tesi che il covid-19 abbia avuto origine nell’Istituto di virologia di Wuhan è di nuovo al centro dell’attenzione. L’11 maggio l’immunologo statunitense Anthony Fauci ha detto pubblicamente che l’idea della fuga dal laboratorio è plausibile, mentre nel 2020 l’aveva definita irrealistica. Il 23 maggio il Wall Street Journal ha svelato che nel novembre 2019, poche settimane prima che l’epidemia in Cina fosse resa pubblica, tre ricercatori dell’istituto si erano ammalati con sintomi compatibili con il covid-19. E il 26 maggio il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha fatto sapere di aver dato mandato all’intelligence statunitense di determinare quale delle due ipotesi sull’origine del virus sia più credibile: la teoria della fuga dal laboratorio o la teoria zoonotica, secondo cui il virus avrebbe avuto origine in natura, passando poi dagli animali agli esseri umani.
Da come Pechino si è comportata finora, è chiaro che considera più importante evitare imbarazzi al regime che preoccuparsi della salute globale. Pur dichiarandosi disposti a collaborare, i funzionari cinesi hanno nascosto alcuni importanti dettagli sull’origine della pandemia.
Il governo di Pechino è molto suscettibile sulla teoria della fuga dal laboratorio. Uno degli eventi che hanno contribuito al deterioramento delle relazioni tra Washington e Pechino nel 2020 è stata l’affermazione del segretario di stato statunitense, Mike Pompeo, secondo cui la pandemia è cominciata nel laboratorio di Wuhan. Il governo cinese ha risposto in modo molto duro, affermando che Washington in passato ha condotto guerre biologiche, che il virus ha avuto origine negli Stati Uniti e che una delle probabili fonti sarebbe un laboratorio dell’esercito statunitense a Fort Detrick, nel Maryland. Il portavoce del ministero degli esteri cinese Zhao Lijian ha suggerito su Twitter che i soldati dell’esercito statunitense avrebbero portato il virus a Wuhan nell’ottobre 2019, in occasione dei Giochi mondiali militari.
La teoria della fuga dal laboratorio è tutt’altro che dimostrata. Il fatto che sia tornata d’attualità non è giustificato da nuove prove scientifiche. Ma ha varie e importanti implicazioni politiche. In primo luogo, se la teoria si rivelasse vera, la Cina sarebbe colta in violazione dell’ennesimo accordo internazionale. La Convenzione sulle armi biologiche, a cui Pechino ha aderito nel 1984, proibisce non solo l’uso, ma anche lo sviluppo e la produzione di agenti biologici nocivi.
In secondo luogo, il riemergere della teoria del laboratorio sarà un freno per la collaborazione internazionale nella ricerca sulle malattie epidemiche. Con milioni di vite in gioco in tutto il mondo, niente dovrebbe ostacolare la massima cooperazione tra i paesi per prepararsi alle inevitabili epidemie future. Sfortunatamente, però, il governo cinese si rifiuterà di collaborare e impedirà la diffusione di qualsiasi informazione possa rafforzare la teoria della fuga dal laboratorio o un giudizio negativo sulla gestione della fase iniziale dell’epidemia. Questo inevitabilmente limiterà la diffusione di alcuni dati che potrebbero aiutare a capire come la pandemia è cominciata e cosa fare per limitare in modo più efficace altre epidemie simili.
In terzo luogo, l’apparente legittimazione della teoria della fuga dal laboratorio da parte di Biden indica la volontà di contrapporsi a Pechino e il fatto che per Washington ripristinare le relazioni con la Cina, gravemente incrinate, non è urgente. La mossa di Biden è piuttosto sorprendente, dato che lo scorso marzo la sua stessa amministrazione aveva riferito di aver chiuso un’indagine sulla teoria della fuga dal laboratorio, avviata dalla squadra di Donald Trump e giudicata scadente e di parte. È una brutta sorpresa per Pechino, i cui funzionari avevano esortato Washington a essere più “obiettiva e razionale” nelle relazioni e a “evitare lo scontro”.
Un problema strutturale
Il fatto che Biden abbia annunciato pubblicamente le istruzioni date alle sue agenzie d’intelligence suggerisce chiaramente che si tratta di una decisione di politica interna. Dopo che i mezzi d’informazione hanno riportato all’attenzione dell’opinione pubblica la tesi del laboratorio di Wuhan, Biden si è sentito in dovere di mostrarsi reattivo. Il suo ordine è una risposta al Partito repubblicano, che lo accusa di debolezza nei confronti della Cina rispetto al suo predecessore. Come prevedibile, Pechino ha reagito riproponendo la tesi del virus nato nel laboratorio del Maryland.
Infine, la teoria della fuga dal laboratorio rafforza la spaccatura tra la Cina e le democrazie liberali, che durante la pandemia è andata crescendo. E che rientra in un problema strutturale. Da un lato ci sono le peculiarità del governo di Pechino: il Partito comunista cinese crede che mantenere l’apparenza di una “virtuocrazia” sia essenziale per la legittimità del regime. I dirigenti del partito sono ipersensibili alle accuse di comportamento disonorevole. Una volta che Pechino assume una posizione e adotta una particolare narrazione per salvare la reputazione, è improbabile che faccia marcia indietro, anche quando ci sono evidenti prove contrarie. Negare la persecuzione e le incarcerazioni di massa degli uiguri nello Xinjiang è un buon esempio di questo atteggiamento.
Se il governo di Pechino sente di essere stato insultato da un paese straniero, difficilmente è in grado di continuare nelle normali relazioni bilaterali. La Cina, per esempio, ha abbracciato una linea che ha seriamente danneggiato le sue relazioni con l’Australia dopo che Canberra ha chiesto un’indagine internazionale sull’origine della pandemia, offendendo Pechino. Dall’altra parte ci sono le democrazie liberali: né i loro governi né le loro società si asterranno dal criticare certe politiche del governo cinese. È già successo durante il primo anno della pandemia. I mezzi d’informazione nelle democrazie liberali hanno criticato Pechino, spingendo i funzionari cinesi a controbattere con la cosiddetta wolf warrior diplomacy (diplomazia dei lupi guerrieri), roboante e controproducente. Questa spirale negativa si ripresenterà a intervalli regolari finché la Cina e le democrazie liberali manterranno i loro rispettivi sistemi politici. Il riemergere della teoria della fuga dal laboratorio minaccia di innescare nuove tensioni.
Naturalmente la comunità internazionale dovrebbe fare pressione su Pechino affinché riveli ciò che sa, comprese le eventuali informazioni su una possibile fuga dal labortorio. Sfortunatamente, a causa delle tensioni politiche preesistenti, questo processo sarà doloroso e il suo successo finale limitato. Quel che è certo è che prolungherà il deterioramento delle relazioni tra Cina e Stati Uniti. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1412 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati