Dall’inizio della guerra di Israele a Gaza si è scritto molto su quanto i palestinesi sono divisi e allo sbando, e sull’incapacità dei loro leader. Al cuore del problema c’è l’Autorità nazionale palestinese (Anp), creata nel 1994 dopo la firma degli accordi di Oslo. L’Anp, che aiuta Israele a coordinare il suo regime di “sicurezza” in Cisgiordania, è sostenuta e finanziata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. Detto francamente, i palestinesi la considerano distante e poco rappresentativa.
Mahmoud Abbas, detto Abu Mazen, presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e dell’Anp, ha quasi novant’anni. La sua ascesa è legata agli stretti legami con Washington e alla volontà di rimanere fedele alla cornice di Oslo all’epoca della seconda intifada palestinese. Oggi resta in carica nonostante il mandato scaduto e una profonda impopolarità, aumentata dall’ottobre 2023, quando i palestinesi sono rimasti scandalizzati dalla sua incapacità di essere all’altezza delle circostanze e di risolvere la catastrofe in corso a Gaza.
Le critiche rivolte ad Abbas includono il fatto di non aver preso sul serio la prospettiva di un governo di unità tra Gaza e la Cisgiordania e il ruolo svolto dall’Anp nel facilitare l’azione israeliana in Cisgiordania, che è sembrato un modo per reprimere l’opposizione alla guerra.
Ed è qui che assumono importanza i dettagli istituzionali. I palestinesi hanno chiesto più volte ad Abbas di riunire l’Olp per rinnovare i suoi organi di governo, rimasti quasi dormienti dopo la creazione dell’Anp. L’Olp è riconosciuta al livello internazionale come rappresentante del popolo palestinese e, nonostante i limiti dovuti al fatto di essere un movimento di liberazione transnazionale, storicamente ha incluso un ampio spettro di fazioni palestinesi. Ma dopo gli accordi di Oslo si è indebolita fino a diventare insignificante. Il consiglio nazionale – il suo principale organo legislativo – dovrebbe riunirsi ogni anno, ma si è incontrato solo due volte negli ultimi trent’anni.
La leadership ha rafforzato un’altra struttura, il consiglio centrale (Cc), dandogli poteri decisionali, proprio per “eclissare” l’organo legislativo. Il consiglio è stato allargato con rappresentanti nominati invece che eletti. Abbas ha anche riempito di suoi sostenitori il comitato esecutivo dell’Olp. Una delle conseguenze di tutte queste manovre politiche è che tanti palestinesi fuori dalla Cisgiordania e da Gaza non hanno alcun ruolo nelle discussioni sul futuro. L’Anp ignora quasi del tutto i palestinesi della diaspora, di Gerusalemme e quelli con cittadinanza israeliana, perché di fatto non li rappresenta.
Verso la successione
Questo ci porta alle ultime novità: ad aprile Abbas ha convocato il consiglio centrale dell’Olp. L’idea non era affrontare la crisi a Gaza, ma modificare unilateralmente lo statuto dell’Olp senza rispettare le normali procedure istituzionali, per ampliare il consiglio e creare una nuova posizione di “vicepresidente”, da scegliere all’interno del comitato esecutivo. La decisione, presa senza consultare altre organizzazioni politiche palestinesi e senza il consenso della popolazione, è stata interpretata come una preparazione per la successione di Abbas. Infatti, dopo una riunione a porte chiuse, il 24 aprile il consiglio ha annunciato la nomina di Hussein al Sheikh a vicepresidente. In altre parole, i palestinesi sperimentano l’ennesimo intrallazzo antidemocratico.
Sheikh è un sostenitore di Abbas, noto per il suo ruolo nelle forze di sicurezza palestinesi. Ha fatto carriera nell’Anp comunicando regolarmente con l’esercito israeliano. Per questo è apprezzato da Israele e criticato dai palestinesi. In base ai sondaggi del Palestinian center for survey and policy research, solo il 2 per cento degli intervistati è favorevole all’ipotesi di Sheikh alla presidenza.
Abbas ha mobilitato anche alcuni elementi della diaspora palestinese: alla riunione del consiglio centrale di aprile ha introdotto due nuovi rappresentanti di quella in Cile, la più vasta al di fuori del Medio Oriente. Entrambi appartengono alla Comunidad palestina de Chile, un’organizzazione piuttosto recente ed espressione di un settore benestante dei palestinesi del Cile. La sua attuale dirigenza non è eletta ed è contrastata da altri gruppi palestinesi nel paese.
La mobilitazione di un segmento politicamente conservatore della diaspora è un altro segnale del persistente approccio dell’Anp e dei suoi sostenitori internazionali, basato sull’esclusione della partecipazione pubblica, la centralizzazione del potere e il disinteresse per i problemi delle persone.
Tutto questo rientra dell’ormai nota negazione dell’azione politica dei palestinesi. Anche se stroncare la volontà del popolo palestinese ha solo aggravato il conflitto, le potenze internazionali si sono rifiutate di cambiare rotta e continuano a basare la loro politica sull’idea che l’autodeterminazione palestinese non conti. E anche se la minaccia più grave ai palestinesi viene chiaramente dall’occupazione israeliana e dai suoi sostenitori internazionali, questi eventi dimostrano che il pericolo è anche all’interno. È tempo che i leader palestinesi rispondano alla popolazione. ◆ fdl
Dana el Kurd è una ricercatrice palestinese, esperta di regimi autoritari nel mondo arabo. Insegna scienze politiche all’università di Richmond, negli Stati Uniti. Questo articolo è stato scritto in collaborazione con Pablo Abufom, filosofo, traduttore e portavoce di Coordinadora por Palestina, un’organizzazione palestinese in Cile.
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Questo articolo è uscito sul numero 1614 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati