archeologia

In base all’analisi dei campioni dentali, uno scheletro sepolto nel primo insediamento europeo nelle Americhe alla fine del quattrocento potrebbe appartenere a un’africana morta a 25 anni. La donna avrebbe perso la vita cinque anni dopo il primo viaggio di Cristoforo Colombo e qualche decennio prima dell’inizio del commercio degli schiavi dall’Africa. “Potrebbe essere la prima africana coinvolta nell’impresa europea di creare colonie nelle Americhe”, dice David Wheat della Michigan state university, che non ha partecipato allo studio.

Gli scavi della Isabela, nella Repubblica Dominicana (Hackenberg-Photo-Cologne/Alamy)

Colombo sbarcò per la prima volta nelle Americhe nel 1492. L’anno dopo guidò un’altra spedizione, in seguito alla quale fu fondato un insediamento permanente, La Isabela, nell’odierna Repubblica Dominicana. La vita alla Isabela era molto dura: nei primi quattro anni i coloni furono decimati dalle malattie e dalla fame. Le vittime furono sepolte in un cimitero dove, negli anni ottanta del secolo scorso, gli archeologi hanno portato alla luce i resti di un centinaio di persone.

Oggi un’équipe guidata da T. Douglas Price dell’università del Wisconsin-Madison ha analizzato 21 scheletri per verificare la percentuale degli isotopi di stronzio nello smalto dentale, che è influenzata dalla geologia della regione in cui si cresce. Com’era prevedibile, la maggior parte aveva una composizione isotopica simile a quella rinvenuta negli scheletri dell’epoca nel sud della Spagna, ma uno, quello della donna morta a 25 anni, aveva la composizione tipica di chi ha trascorso l’infanzia in una regione con rocce che risalgono alla Terra primordiale, come quelle dell’Africa occidentale o centrale.

Non è la prima volta che gli archeologi ipotizzano la presenza di africani tra i coloni dell’Isabela. Una decina di anni fa alcuni ricercatori della stessa équipe avevano analizzato il dna mitocondriale prelevato da alcuni scheletri, scoprendo che due avevano marcatori genetici diffusi tra gli abitanti dell’Africa subsahariana. Ma secondo uno dei ricercatori, Hannes Schroeder dell’università di Copenaghen, le prove erano deboli: “Sappiamo che è davvero difficile ottenere da questi resti dati genetici sufficienti per stabilire con certezza che tra le persone sepolte alla Isabela ci fossero degli africani”.

Da sapere
Il dna dei discendenti

◆ Analizzando il dna di migliaia di persone di discendenza africana nelle Americhe, i ricercatori dell’azienda privata 23andMe hanno ricostruito alcuni aspetti della tratta degli schiavi transatlantica. In linea con i documenti storici sulla provenienza degli schiavi, il dna è risultato più simile a quello degli abitanti di alcuni paesi dell’Africa occidentale, tra cui Senegal, Repubblica Democratica del Congo e Angola. New Scientist


I risultati di questo studio sono comunque sorprendenti, perché i documenti storici non parlano di uomini o donne di origine africana nella spedizione di Colombo del 1493. “Ma spesso i documenti storici sono incompleti, soprattutto quando si ha a che fare con i neri o le donne”, dice Kelly Knudson dell’Arizona state university. “La ricerca dimostra che l’archeologia è in grado di fornire un quadro più completo sul passato”.

William Keegan dell’università della Florida non esclude che ci fosse un’africana, ma avverte che se una persona trascorre molti anni in un luogo diverso da quello di nascita la composizione isotopica dello stronzio può cambiare: “Lo scheletro potrebbe essere quello di una donna spagnola che, prima di andare nelle Americhe, visse in Africa”. Ipotizzando invece che la donna fosse effettivamente africana, è probabile che provenisse dalla regione storica del Senegambia, in Africa occidentale, spiega John Thornton della Boston university: “All’epoca c’era una tratta di schiavi piuttosto intensa con il Senegambia, e la maggior parte degli africani finiva in Spagna o alle Canarie”.

“Poteva essere una serva o una schiava, ma anche una persona libera”, aggiunge Wheat. “In caso di matrimonio con uno spagnolo o di rapporto stretto con una famiglia spagnola era questo legame, e non il colore della pelle, a definire l’identità e lo status sociale”. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1379 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati