Nel 1955 William McChesney Martin, all’epoca capo della Federal reserve (Fed, la banca centrale degli Stati Uniti), descrisse così il suo lavoro: il banchiere centrale è quello che “nasconde gli alcolici proprio quando la festa comincia a decollare”. In altre parole, per evitare che l’economia si surriscaldi facendo esplodere l’inflazione, la Fed deve intervenire tempestivamente, per esempio alzando i tassi d’interesse. Sessantasei anni dopo, gli Stati Uniti sembrano proprio a un passo da quel punto critico: la disoccupazione diminuisce e l’inflazione è in aumento, entrambe alimentate da aiuti governativi per quasi cinquemila miliardi di dollari, stanziati dopo lo scoppio della pandemia. Ma Jerome Powell, il presidente della Fed, invece di dirigersi lentamente verso il tavolo degli alcolici, spera che l’ondata inflazionistica (la crescita dei prezzi al consumo ha da poco raggiunto il 5,4 per cento) si sgonfi da sola. Anche gli economisti più di sinistra, come l’ex segretario al tesoro Lawrence Summers, hanno dei dubbi: “A quanto pare, questa volta la Fed aspetta di vedere le prime persone che barcollano ubriache prima di portare via il punch”, ha detto Summers di recente.
A difesa di Powell va detto che la situazione è confusa: ottimi dati economici si alternano ad altri pessimi, molte aziende cercano disperatamente personale mentre ci sono ancora milioni di occupati in meno rispetto a prima della pandemia. Per questo la Fed sostiene di non avere ancora raggiunto gli obiettivi fissati dal suo mandato, cioè mantenere i prezzi stabili e la piena occupazione. Di conseguenza, nella migliore delle ipotesi, gli aiuti potrebbero lentamente esaurirsi. Alcuni, invece, chiedono un immediato cambio di rotta: l’inflazione rischia altrimenti di sfuggire di mano e la banca centrale potrebbe essere obbligata a misure ancora più estreme.
In altre parole, la Fed sta facendo una scommessa rischiosa con la sua strategia attendista. Se la sua analisi si rivelasse corretta, gli Stati Uniti, e con loro anche l’economia mondiale, potrebbero uscire rafforzati dalla crisi provocata dal covid-19. Ma in caso contrario le conseguenze potrebbero essere drammatiche: se in vista di un ulteriore aumento dei prezzi la banca centrale dovesse tirare il freno d’emergenza e alzare i tassi d’interesse in modo più improvviso e più deciso del previsto, potrebbe generarsi una tempesta economica globale che brucerebbe posti di lavoro e ricchezza. Al confronto, la recessione dovuta alla pandemia sarebbe solo una leggera brezza.
Powell ha fornito le prime indicazioni sulla sua strategia il 27 agosto, in occasione della riunione annuale dei banchieri centrali di tutto il mondo, che si è svolta online invece che, come al solito, a Jackson Hole, negli Stati Uniti. Il capo della Fed ha sottolineato che l’inflazione è sotto osservazione e che se il trend negativo dovesse continuare non mancherebbe una “risposta decisa”. Tuttavia, ha proseguito, l’esperienza mostra che le banche centrali fanno bene a ignorare le fluttuazioni temporanee dei prezzi. “Agire immediatamente può fare più male che bene”, ha detto Powell. Poi ha lasciato intendere che entro la fine dell’anno la Fed potrebbe cominciare gradualmente a ridurre (tapering) l’acquisto di titoli pensato per mantenere bassi i tassi d’interesse, che oggi costa 120 miliardi di dollari al mese. A condizione, però, che il calo della disoccupazione continui anche nei prossimi mesi e che la Fed si avvicini al suo obiettivo della piena occupazione.
L’annuncio potrebbe significare per gli investitori e i consumatori statunitensi la necessità di abituarsi a un costo del credito un po’ più alto. Powell ha sottolineato, tuttavia, che per il momento non si parla di un aumento immediato dei tassi. Tra i fattori d’incertezza che rallentano l’economia e che potrebbero allontanare questa ipotesi il banchiere centrale ha indicato la variante delta del covid-19, che ha fatto risalire i contagi negli Stati Uniti.
In ogni caso, ci sono da affrontare due problemi. Da un lato, la Fed deve ammettere di aver in parte analizzato male la situazione economica e politica. Si è fatta sorprendere dalle enormi proporzioni dei pacchetti di aiuti del governo e dal significativo aumento di affitti e salari. Molte aziende devono ora offrire bonus e stipendi d’ingresso alti anche per mansioni poco qualificate se vogliono trovare dipendenti. Altri fattori che fanno aumentare i prezzi sono i colli di bottiglia nelle consegne e un’offerta insufficiente, per esempio quella di semiconduttori e automobili, su cui la Fed non può fare niente. In secondo luogo, Powell deve riuscire a unire i diciotto membri del comitato di politica monetaria della Fed, diviso in tre fazioni che hanno più o meno lo stesso potere. Da un lato ci sono le cosiddette “colombe”, convinte che la disoccupazione – soprattutto tra le donne, i lavoratori a basso reddito e le minoranze sociali – sia ancora troppo alta per porre fine alle politiche di sostegno. A loro si oppongono i “falchi”, secondo i quali il forte aumento dei prezzi potrebbe modificare in modo permanente le aspettative d’inflazione di lavoratori e aziende innescando così la pericolosa spirale di prezzi e salari sempre più alti. Poi ci sono Powell e i “centristi”, che devono trovare un equilibrio tra le due ali, perché la Fed non può fare entrambe le cose: comprare azioni e non comprarle, alzare i tassi e non alzarli. Una soluzione di compromesso, tuttavia, non deve apparire inefficace o tiepida, per non rischiare turbolenze sui mercati.
La fine di un’era
Secondo Adam Posen, capo del Peterson institute for international economics di Washington, la Fed dovrebbe presto mettere un freno all’acquisto di titoli, a patto che comunichi bene gli obiettivi della misura. Da un punto di vista economico, il tapering difficilmente avrà effetti notevoli, ma è ovviamente un forte segnale politico: l’era del denaro a buon mercato sta lentamente volgendo al termine. L’obiettivo della Fed è evitare il cosiddetto taper tantrum del 2013. Il presidente della Fed dell’epoca, Ben Bernanke, superata la crisi finanziaria globale, annunciò l’uscita dal programma di acquisto di titoli scatenando il panico sui mercati finanziari: i tassi d’interesse delle obbligazioni salirono alle stelle, le azioni crollarono. Da allora la reazione di cortocircuito degli operatori di borsa viene chiamata taper tantrum, un’espressione difficilmente traducibile ma che sintetizza come appaiono alle gente comune gli operatori di borsa, con i loro accessi di rabbia e ostinazione: come dei bambini. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1425 di Internazionale, a pagina 104. Compra questo numero | Abbonati