Google dice che sarà costretta a disabilitare il suo motore di ricerca in Australia se il governo di Canberra applicherà una legge, ora all’esame del parlamento, che costringerà sia Google sia Facebook a pagare le testate giornalistiche per far pubblicare le loro notizie sui propri siti. Il gigante delle ricerche online preferirebbe quindi sostenere una perdita miliardaria piuttosto che stabilire un precedente. Nel 2020 le attività di Google in Australia hanno generato un profitto di 4,8 miliardi di dollari australiani (3,9 miliardi di euro).

Il 22 gennaio l’amministratrice delegata di Google per l’Australia e la Nuova Zelanda, Melanie Silva, durante un’audizione al senato ha dichiarato che se la nuova legge dovesse essere approvata, l’azienda non permetterà più agli australiani di usare il suo motore di ricerca. Silva ha spiegato che una delle misure previste dalla legge, che impone a Google di pagare per i link e gli _snippet _(ritagli d’informazioni estratte da altri siti), renderebbe insostenibile mantenere in funzione il suo motore di ricerca. “Il principio dei link illimitati tra siti web è fondamentale per la ricerca ed è associato a un rischio finanziario e operativo enorme”, ha affermato. “Bloccare il motore di ricerca sarebbe una brutta conclusione della vicenda per noi, ma anche per la varietà dei mezzi d’informazione a disposizione degli australiani e per le piccole imprese che ogni giorno usano i nostri prodotti”.

Una posizione dura che segue di una settimana quello che Google ha definito “un esperimento”, cioè la decisione di spingere in basso nei risultati di ricerca i titoli dei quotidiani australiani più diffusi come il Sydney Morning Herald.

Google sostiene di aiutare gli editori portandogli molto pubblico dei link dei risultati di ricerca. Ma, secondo un rapporto del 2020 della Commissione australiana per la concorrenza e i consumatori (Accc), Google gestisce il 95 per cento del traffico da ricerche internet nel paese. Poiché il traffico da ricerca determina la spesa pubblicitaria e la pubblicità online sottrae miliardi di dollari ai mezzi d’informazione tradizionali, la Accc ha avvertito che il dominio di Google è una possibile minaccia al funzionamento della democrazia. Nella bozza di legge non si quantifica l’ammontare che le piattaforme digitali dovrebbero pagare per le notizie, ma vengono proposte delle linee guida che un arbitrato dovrebbe seguire in caso di mancato accordo. Politici e autorità di controllo neozelandesi seguono da vicino gli sviluppi.

La posizione di Google Australia-Nuova Zelanda si è complicata dopo la notizia inattesa che il ramo operativo europeo di Google aveva accettato un accordo con un’associazione di editori francesi per un ammontare ancora da definire in base a cui il gigante di internet dovrà pagare per usare i contenuti giornalistici online.

Da sapere
Bullismo controproducente

◆ “Non rispondiamo alle minacce”, ha detto il primo ministro australiano Scott Morrison in merito alle parole dell’amministratrice delegata di Google Melanie Silva. Davanti a una commissione del senato di Canberra, Silva ha detto che Google sarà costretta a bloccare il suo motore di ricerca in Australia se il governo la obbligherà per legge a pagare per i contenuti dei mezzi d’informazione. “Se c’è una cosa che agli australiani non piace sono i bulli”, scrive The Age in un editoriale. In base alla legge proposta dal governo di Canberra che sarà discussa in parlamento a febbraio, i giganti tecnologici come Google e Facebook sarebbero obbligati a contrattare un compenso per i contenuti d’informazione estratti dai siti delle testate giornalistiche e, se non si raggiungesse un accordo, la cifra sarebbe decisa da un giudice arbitrale. La legge parte dall’idea che grazie alla pubblicazione di contenuti giornalistici le piattaforme digitali attirano pubblicità e guadagnano. Negli ultimi 15 anni i ricavi pubblicitari della carta stampata in Australia sono calati di tre quarti, mentre quelli delle principali piattaforme digitali come Facebook e Google sono molto aumentati. Nel 2020 la NewsCorp di Rupert Murdoch ha chiuso o trasferito online 125 giornali locali, licenziando centinaia di dipendenti.


L’accordo francese

Come si legge in un comunicato congiunto, l’accordo firmato con l’Alliance de la presse d’information general (Apig) comprende i “diritti connessi”, ossia l’obbligo di pagare per mostrare contenuti dei mezzi d’informazione nei motori di ricerca. L’accordo fornisce a Google una cornice all’interno della quale negoziare accordi con le singole testate. I giornali avranno inoltre accesso al nuovo programma dell’azienda, News showcase, che paga gli editori per una selezione di contenuti di qualità. I pagamenti saranno calcolati singolarmente e si baseranno su criteri tra cui i dati relativi alle visualizzazioni e la quantità di informazioni pubblicate. L’accordo, secondo il comunicato, riguarda testate che pubblicano “notizie politiche e d’interesse generale”.

Google ha cercato a lungo di negare agli editori francesi il pagamento per le anteprime delle notizie. Per adeguarsi alla nuova legge sul diritto d’autore, nel 2020 ha smesso di mostrare sui motori di ricerca degli utenti francesi le notizie provenienti dagli editori europei. Ad aprile però un tribunale d’appello ha imposto all’azienda di negoziare con gli editori. Google è stata costretta a discutere un compenso per le agenzie di stampa se ne condivideva i contenuti, le foto o i video sul motore di ricerca di Google o su Google news. A ottobre ha perso un ricorso contro questa decisione.

Sebastien Missoffe, direttore generale di Google France, ha definito l’accordo un “passo importantissimo” per l’azienda. “Apre nuove prospettive per i nostri partner e siamo felici di contribuire al loro sviluppo per sostenere il giornalismo”, ha detto. Per il presidente dell’Apig, Pierre Louette, l’accordo ha sancito il “riconoscimento dei diritti connessi e l’avvio di un sistema di remunerazione per gli editori”.

Gli editori di tutta Europa da tempo chiedono un risarcimento per i contenuti alle aziende tecnologiche, che stanno calamitando gli investimenti pubblicitari. A novembre nel Regno Unito la commissione sulle comunicazioni della camera dei lord ha suggerito una legge su modello della proposta australiana, in base a cui le piattaforme sarebbero obbligate a pagare gli editori per usare i loro contenuti. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1394 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati