Quando Dung, fondatore e amministratore delegato di un’azienda di Taipei che produce computer industriali a prezzi accessibili, si è reso conto che il comparto tecnologico globale era di fronte a una grave penuria di chip, ormai c’era poco da fare. “A gennaio ho capito la reale portata della crisi, ma era già troppo tardi”, dice Dung. “Alcuni fornitori mi hanno detto che avrei dovuto aspettare fino a ottobre, se non di più, per ricevere dei chip che di solito posso ordinare con un solo mese di preavviso. Questo significa che potrei non avere nulla da spedire per tutto l’anno”. Quella di Dung è una piccola start-up, e per questo risente di più della grave crisi globale cominciata nel 2020. Nella filiera tecnologica le aziende più grandi hanno un potere d’acquisto maggiore, ma oggi la scarsità è tale da colpire anche aziende come Apple o Samsung, con conseguenze politiche e diplomatiche.

Il 12 aprile il presidente statunitense Joe Biden ha partecipato a una riunione virtuale con i vertici di Intel, Taiwan Semiconductor Manufacturing e Samsung Electronics insieme a case automobilistiche come la Ford e la General Motors, per parlare del problema. La crisi dell’offerta è diventata una questione urgente per i governi quando, all’inizio di quest’anno, ha colpito il settore dell’auto. Stati Uniti, Giappone e Germania, i tre più importanti paesi produttori di automobili, hanno cominciato a fare pressioni su Corea del Sud e Taiwan, dove si fabbrica la gran parte dei processori, perché dessero la priorità ai chip per le componenti elettroniche delle auto a discapito di altri clienti, tra cui i produttori di smartphone e computer. I tre governi temevano un rallentamento o il blocco della produzione nel settore automobilistico, una grave minaccia per l’occupazione e per la ripresa economica dopo la pandemia. Aziende come la Tsmc e la Samsung hanno risposto sfornando chip a tutto spiano.

Anche la “guerra tecnologica” tra Stati Uniti e Cina ha danneggiato la filiera

Ma secondo chi lavora nel settore, le pressioni politiche per dare priorità al fabbisogno delle aziende automobilistiche hanno finito per spremere ancora di più la filiera. “Prima si decideva quali chip produrre in base alle richieste che arrivavano”, dice il presidente della Tsmc, Mark Liu. Un risultato di questo caos è che la concorrenza, già accanita, nel settore tecnologico è diventata ancora più spietata. “Stiamo dicendo ai nostri fornitori di non fornire i chip ai concorrenti più piccoli e gli offriamo più soldi per assicurarcene una quantità maggiore”, spiega un dirigente del settore informatico. “È come se tutti pensassero: ‘Se non posso averne abbastanza, allora nessuno deve averli, tanto meno i miei rivali’”.

Alcune aziende che producono pc hanno addirittura gonfiato e anticipato ordini per impedire alla concorrenza di rifornirsi. Altre stanno usando tutta la loro influenza nel disperato tentativo di non interrompere le forniture. “Ora abbiamo problemi perfino con le componenti assemblate da secondi o terzi. Ho offerto la cena ai capi di questi fornitori più volte la scorsa settimana e sono andato a giocare a golf con loro spessissimo per implorarli di darmi la priorità”, racconta un dirigente di alto livello della taiwanese Compal Electronics, il secondo produttore al mondo di computer portatili. Se è vero che l’improvvisa impennata della domanda delle aziende automobilistiche ha aggravato la crisi delle forniture, le radici del problema risalgono a molto prima.

Virus e diplomazia

All’inizio del 2020 l’epidemia di covid-19 ha provocato in tutta la Cina lockdown e quarantene che hanno disarticolato la filiera del settore tecnologico. Una volta ripristinate le consegne, i produttori di elettronica hanno fatto a gara per prenotare scorte superiori rispetto al solito. La pandemia ha influito anche sulla domanda. Il susseguirsi di lockdown e l’adozione in massa di modalità di lavoro e di didattica a distanza hanno stimolato un’imponente trasformazione digitale. E l’adozione delle reti e degli smartphone 5g, che necessitano di un numero più elevato di chip e componenti, ha subìto un’accelerazione.

Anche la “guerra tecnologica” tra Stati Uniti e Cina, cominciata prima della pandemia, ha danneggiato la filiera. Quando Washington ha improvvisamente limitato l’accesso della Huawei a settori tecnologici vitali degli Stati Uniti, l’azienda ha accumulato quante più scorte ha potuto, finché ha potuto, imitata da altre aziende cinesi che temevano un trattamento simile. C’è stata così una forte domanda iniziale di chip e altre componenti fondamentali.

A metà aprile la Huawei ha esplicitamente incolpato gli Stati Uniti della crisi globale, dicendo che il panico generato dalle sanzioni di Washington contro le aziende cinesi ha mandato a gambe all’aria la filiera. A peggiorare la situazione c’è stato un aumento degli ordini di alcuni concorrenti del gigante cinese, che sperano così di sottrargli quote di mercato. Xiaomi, Samsung, Oppo e Vivo sono solo alcuni dei produttori di smartphone che hanno guadagnato terreno a spese della Huawei.

Washington ha anche inserito in una lista nera la Semiconductor Manufacturing International (Smic), il colosso nazionale cinese della produzione di chip. Questo ha spinto i clienti preoccupati a fare ordini di riserva ad altri fornitori di processori, le cui filiere erano già intasate.

L’esplosione degli ordini di chip ha risucchiato quasi completamente la capacità di produzione. Un motivo per cui è così difficile superare la crisi delle forniture è che serve molto tempo per aumentare la capacità di produzione in strutture esistenti o per costruire nuovi impianti. La statunitense Intel ha annunciato di voler spendere 20 miliardi di dollari per costruire due impianti per la produzione di chip in Arizona, che però non entreranno in funzione prima del 2024. Un altro motivo è che la scarsità di microprocessori ha cominciato ad avere un impatto sui fabbricanti di apparecchiature dotate di chip industriali, e questo vuol dire che, anche se le aziende volessero ampliare la capacità produttiva, dovrebbero affrontare lunghi ritardi prima di poter fare nuovi ordini.

Da sapere
Chi produce i microprocessori
Esportazioni di chip, miliardi di dollari (Fonte: International Trade Center)

Disastri come le tempeste invernali in Texas e un incendio in un impianto giapponese hanno creato ulteriori difficoltà. Perfino i più importanti produttori di smartphone hanno avvertito la stretta. La Samsung electronics, il più grosso fornitore di chip di memoria al mondo, ha annunciato che la situazione sarà problematica fino a giugno. La Apple, uno dei più potenti procacciatori di microprocessori al mondo, ha subìto dei ritardi nella produzione di alcuni dei suoi MacBook e iPad. “La grande sfida ora è aumentare ulteriormente la capacità produttiva”, dice Peter Hanbury della Bain & Co, esperto di filiere tecnologiche, “ma ci vorranno tre o quattro anni e costerà miliardi di dollari”.

Altri però non ne sono così sicuri. A loro avviso, la quantità esagerata di ordini fatti a titolo precauzionale, i convulsi tentativi di fare scorte e la risolutezza nello schiacciare i concorrenti minacciano di creare una bolla di dimensioni enormi e un eccesso di offerta quando la bolla scoppierà. “Questa forte domanda non durerà per sempre. La gente non comincerà a comprare all’improvviso cinque telefoni o cinque automobili”, dice un dirigente nella filiera dei chip. “Temo che pagheremo lo scotto quando uno dei pezzi grossi comincerà a tagliare gli ordini”.

Liu, il direttore della Tsmc, ha già ammesso che quasi certamente i clienti stanno raddoppiando le prenotazioni per attenuare il rischio nel caso che la filiera dovesse essere interrotta da tensioni geopolitiche. Ma l’azienda teme che la penuria di chip si prolunghi fino al 2022. E questo è il vero problema. “La crisi potrebbe danneggiare soprattutto startup e piccole e medie imprese”, dice Wallace Kou, presidente e amministratore delegato della Silicon Motion, un importante sviluppatore di telecomandi taiwanese-statunitense. “Molte potrebbero fallire se le forniture non dovessero arrivare in tempo”.

“Non abbiamo le risorse e il potere d’acquisto delle grandi aziende”, ammette Dung, il fondatore della startup di Taipei. “Possiamo solo modificare i nostri piani e trovare componenti alternative. E lottare per sopravvivere”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1408 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati