Ho appoggiato il rullo di giada fredda sotto lo zigomo e l’ho fatto scivolare lentamente lungo i contorni del viso. A essere sincera, mi sentivo un po’ come una sfoglia pronta da infornare. Mia nonna, però, mi aveva rassicurato: era un’antica tecnica cinese, capace di rendere la pelle più luminosa e il volto meno gonfio. Sarebbero passati più di dieci anni prima che il face rolling diventasse una moda in fatto di bellezza, e molti altri ancora prima che io capissi che i suoi presunti benefici possono dipendere dal sistema linfatico, una rete che attraversa tutto il corpo, composta da sottili vasi e piccoli nodi a forma di fagiolo. Anche se è descritto nel più antico documento medico-scientifico conosciuto, il sistema linfatico è rimasto per millenni un mistero. È estremamente delicato e sfuggente, quindi è difficile da studiare. “I vasi linfatici attraversano quasi ogni organo del corpo, eppure sono praticamente invisibili”, spiega Kathleen Caron dell’università del North Carolina a Chapel Hill. Solo negli ultimi decenni, grazie ai progressi nelle tecniche di imaging e ai marcatori molecolari, i ricercatori hanno cominciato a comprenderne il ruolo cruciale nella salute e nella malattia. Questo rinnovato interesse ha alimentato una serie di scoperte che indicano che la rete linfatica può essere un elemento chiave nella cura di alcune gravi patologie, tra cui l’alzheimer e il cancro. “Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a un rinascimento della biologia linfatica”, osserva Caron. “Sfruttarne le potenzialità per migliorare la salute segnerebbe una svolta”. Questa fantomatica rete viene menzionata per la prima volta in un trattato egizio del 1600 aC, che descrive dei rigonfiamenti nel collo e nelle ascelle, che oggi identifichiamo come linfonodi. Un millennio più tardi, il medico e filosofo greco Ippocrate descrisse i vasi che collegano queste strutture, osservando come i linfonodi tendano a ingrossarsi durante le infezioni. Solo nel settecento si è cominciato a capire che la rete linfatica funziona come un sistema di smaltimento dei rifiuti. I vasi sanguigni portano ai tessuti un fluido giallastro, che contiene ossigeno, nutrienti e cellule immunitarie. Oltre ad alimentare le cellule, questo liquido raccoglie i prodotti di scarto del metabolismo, frammenti di cellule danneggiate e agenti patogeni, prima di tornare nel sistema vascolare. Circa il 10 per cento del fluido, però, resta nei tessuti: è qui che entrano in gioco i vasi linfatici, che raccolgono gli avanzi. Una volta all’interno dei vasi linfatici, il fluido prende il nome di linfa, una parola che deriva dalla divinità romana delle acque dolci, Lympha, e dalle ninfe della mitologia greca, associate alle acque limpide. La linfa si dirige verso uno dei 500-600 linfonodi distribuiti in tutto il corpo. Qui, le cellule immunitarie chiamate fagociti inglobano gran parte dei residui e attivano i linfociti T vicini affinché riconoscano eventuali patogeni o cellule tumorali. La linfa, insieme ai linfociti T attivati, viaggia nel sistema linfatico fino a rientrare nel sangue attraverso i grandi dotti situati vicino al cuore. I prodotti di scarto rimasti sono infine filtrati dai reni ed eliminati. I linfociti T, invece, continuano a circolare finché non raggiungono le zone in cui devono combattere agenti esterni o cellule mutate. Dato il suo ruolo nell’immunità e nello smaltimento dei rifiuti, può sorprendere che per molto tempo gli scienziati abbiano pensato che il sistema linfatico fosse scollegato dal nostro organo più vitale: il cervello. Ma c’è una spiegazione. Una risposta immunitaria efficace prevede l’infiammazione dei tessuti, che, pur combattendo i patogeni, può danneggiare le cellule sane. Si riteneva quindi che il cervello si fosse evoluto per evitare questi danni collaterali. È protetto dalla barriera emato­encefalica, una struttura che impedisce l’ingresso di tossine e agenti patogeni, ed era considerato privo di cellule immunitarie. Di conseguenza, si pensava che non avesse bisogno dei servizi del sistema linfatico, e che i fluidi cerebrali fossero drenati attraverso vie non linfatiche, come gli spazi perineurali che conducono ai vasi linfatici nel naso. Per questo, quando alla fine del settecento l’anatomista italiano Paolo Mascagni iniettò del mercurio nei cadaveri e osservò delle ramificazioni argentate che, secondo lui, erano vasi linfatici ai margini del cervello, nessuno lo prese sul serio. Vasi fluorescenti Ci sarebbero voluti più di due secoli prima che due studi rivoluzionari ribaltassero il consenso scientifico. Nel 2015, all’università di Helsinki, Kari Alitalo e i suoi collaboratori hanno osservato il movimento dei linfociti T nel cervello, che oggi sappiamo essere ricco di cellule immunitarie. Hanno notato che le cellule, marcate con un tracciante fluorescente, si disponevano in una formazione simile a un vaso all’interno della dura madre, la più esterna delle tre membrane (dette meningi) che si trovano tra la superficie del cervello e il cranio. Studiando il fenomeno più da vicino, hanno scoperto che quelle strutture presentavano tutte le caratteristiche dei vasi linfatici e drenavano il fluido verso i cosiddetti linfonodi cervicali, situati nel collo. Appena due settimane dopo, Jonathan Kipnis e il suo team della Washington university a St. Louis, nel Missouri, hanno osservato lo stesso fenomeno usando dei topi geneticamente modificati con vasi linfatici fluorescenti. “È stato un momento di svolta”, osserva Sandro Da Mesquita della Mayo clinic di Jacksonville, in Florida, che non ha partecipato a nessuno dei due studi. Nel 2017 il gruppo di Kipnis ha confermato che anche gli esseri umani possiedono questa rete linfatica meningea. Poco dopo, una serie di studi sui roditori ha evidenziato che questi vasi diventano più sottili, più corti e meno numerosi con l’età. Questa degenerazione rallenta il drenaggio dei fluidi dal cervello e accelera il declino cognitivo. “L’invecchiamento porta a una regressione di questi vasi”, spiega Da Mesquita. “In un topo molto anziano, il sistema linfatico che drena il cervello è fortemente compromesso, mentre nei tessuti periferici questo fenomeno si osserva molto meno”. Invertire il processo di degenerazione porta benefici cognitivi. Da Mesquita e Kipnis, per esempio, hanno iniettato nel cervello di alcuni topi anziani le informazioni genetiche per produrre una proteina chiamata Vegfc, capace di dilatare i vasi linfatici. L’intervento ha stimolato il drenaggio dei fluidi cerebrali attraverso i vasi linfatici delle meningi, migliorando le capacità mnemoniche e di apprendimento dei topi. Lo stesso processo ha parzialmente invertito il declino cognitivo anche in topi con sintomi simili a quelli dell’alzheimer, e sembra legato all’eliminazione di una forma tossica di beta-amiloide, una proteina associata alla malattia. Queste scoperte hanno spinto gli scienziati a chiedersi se l’invecchiamento del sistema linfatico comprometta le funzioni cognitive anche negli esseri umani. I primi indizi sembrano confermarlo. In uno studio pubblicato all’inizio del 2025, Sarosh Irani della Mayo clinic, Da Mesquita e altri colleghi hanno analizzato la linfa estratta dai linfonodi cervicali di 25 persone tra i 22 e gli 84 anni non affette da malattie neurodegenerative.Hanno scoperto che i livelli di tau, una proteina associata all’alzheimer, tendono a diminuire nei linfonodi con l’avanzare dell’età. Secondo Irani è il segnale che il deterioramento dei vasi linfatici meningei riduce la capacità di drenare e filtrare le proteine nocive, che quindi si accumulano nel cervello, contribuendo allo sviluppo di patologie neurodegenerative come la demenza. “Alcune di queste malattie, almeno in certi casi, potrebbero essere dovute alla degenerazione del sistema linfatico”, spiega Irani. Da Mesquita avverte che servono studi molto più ampi per verificarlo. Ma i primi risultati fanno intravedere una possibilità affascinante. “C’è un grande potenziale terapeutico”, osserva Irani. “Possiamo curare la demenza migliorando il drenaggio linfatico dal cervello?”. Alcuni scienziati stanno già esplorando questa ipotesi. In uno studio pubblicato a maggio, Rong Hu e altri ricercatori dell’Army medical university cinese hanno sottoposto 26 persone affette da alzheimer a un intervento chirurgico sui vasi linfatici cervicali per migliorare il drenaggio dei fluidi dal cervello. Dopo un mese, i partecipanti hanno mostrato lievi miglioramenti nei test di memoria, attenzione e linguaggio. Ma lo studio era di piccole dimensioni e non prevedeva un gruppo di controllo, e la procedura è fortemente invasiva. Cercando un metodo più semplice, Gou Young Koh del Korea advanced institute of science and technology e i suoi colleghi hanno scoperto che massaggiare delicatamente i vasi linfatici intorno al viso e al collo, seguendo uno schema preciso, può aumentare il drenaggio dei fluidi cerebrali nei topi anziani fino a livelli paragonabili a quelli osservati nei topi giovani. I ricercatori non hanno valutato l’impatto di questa tecnica sulle capacità cognitive degli animali, ma vogliono verificare se può aiutare i topi che presentano sintomi riconducibili all’alzheimer. Linfonodi artificiali Il cancro è un altro ambito in cui sfruttare il sistema linfatico delle meningi potrebbe rivelarsi utile. Dopo aver saputo degli esperimenti del 2015, Eric Song dell’università di Yale e i suoi colleghi si sono chiesti se il metodo basato sulla proteina Vegfc poteva migliorare la risposta immunitaria al glioblastoma, la forma più aggressiva di tumore cerebrale. Per verificarlo, hanno iniettato nel cervello di topi affetti da tumore il codice genetico per sintetizzare la Vegfc, insieme a un’immunoterapia chiamata anti-Pd-1. Il gruppo di controllo ha ricevuto solo l’iniezione di anti-Pd-1 e il codice genetico di una proteina fluorescente che non ha effetti sul sistema linfatico. Dopo tre mesi, circa il 20 per cento dei topi del gruppo di controllo era sopravvissuto. Nel gruppo trattato con Vegfc, la percentuale era dell’80 per cento, e in alcuni casi il tumore era scomparso del tutto. Analisi più approfondite hanno mostrato che il trattamento aveva migliorato il drenaggio delle proteine tumorali attraverso i vasi linfatici delle meningi verso i linfonodi cervicali, favorendo così l’attivazione dei linfociti T (capaci di distruggere le cellule cancerose), che poi migravano nel cervello, spiega Song. Ma non è tutto: i topi sopravvissuti al primo tumore erano riusciti a resistere a una successiva iniezione di cellule tumorali cerebrali, segno che il trattamento generava un’immunità duratura. Il problema del metodo basato sulla Vegfc, però, è che può stimolare la crescita dei vasi sanguigni, favorendo la diffusione dei tumori in altre parti del corpo. Per ovviare a questo problema, Song e i suoi colleghi dell’azienda biotecnologica Rho Bio hanno sviluppato una versione modificata della Vegfc che agisce solo sui vasi linfatici. Attualmente la stanno testando su primati non umani e sperano di poterla sperimentare in futuro per diverse patologie, tra cui i tumori cerebrali e la demenza negli esseri umani. Le terapie linfatiche potrebbero rivelarsi utili anche contro altri tipi di tumore. Natalie Livingston e i suoi colleghi del Massachusetts general hospital hanno sviluppato dei linfonodi artificiali iniettabili capaci di potenziare la risposta immunitaria contro i tumori nei topi. Il metodo prevede di estrarre dei linfociti T da un topo e poi mescolarli con un cocktail di proteine in grado di attivarli per combattere il cancro. La miscela viene reiniettata nell’animale, creando una sorta di “fabbrica” di linfociti T antitumorali. La procedura ha quasi dimezzato le dimensioni dei tumori al colon nei topi e ha migliorato i tassi di sopravvivenza rispetto a un impianto placebo. E ha funzionato altrettanto bene contro il melanoma, la forma più letale di cancro della pelle. Ma la terapia linfatica non si ferma qui. Altri ricercatori stanno usando i linfonodi per far crescere organi da trapiantare. Prendono cellule provenienti da un organo donatore e le impiantano all’interno di un linfonodo vicino all’organo compromesso. Nutrite dall’abbondante apporto sanguigno del sistema linfatico, queste cellule crescono fino a formare un mini-organo che sostituisce il linfonodo e supporta il tessuto danneggiato. Negli esperimenti sui topi, i ricercatori della Lygenesis hanno dimostrato che questi mini-organi possono ridurre i sintomi di malattie epatiche e renali, oltre che del diabete di tipo 1 con danni al pancreas. Il corpo può permettersi di perdere un linfonodo senza compromettere il resto del sistema linfatico, quindi la tecnica sembra non provocare effetti collaterali, spiega Michael Hufford, amministratore delegato della Lygenesis. I ricercatori la stanno testando su dodici persone affette da malattie del fegato allo stadio terminale. I risultati dovrebbero arrivare entro i prossimi due anni. Drenare il mal di testa La biologia del sistema linfatico ha un potenziale enorme nel trattamento di varie malattie, ma ci sono molte cose che ancora non comprendiamo. Uno dei punti da chiarire è in che misura i vasi linfatici variano da un organo all’altro. In uno studio non ancora pubblicato, Caron sta analizzando come varia l’attività genica nei vasi linfatici associati a otto organi, tra cui polmoni, fegato e cuore. Inoltre sta compilando una lista di recettori proteici presenti sui vasi linfatici che possono fare da bersaglio per i farmaci. La ricerca potrebbe suggerire nuovi modi di intervenire sul sistema linfatico, e forse anche aiutarci a capire meglio come funzionano alcuni farmaci già in uso. “Può darsi che molti agiscano sul sistema linfatico senza che noi lo sappiamo”, spiega Caron. Il suo gruppo di lavoro ha già dimostrato che diversi medicinali contro l’emicrania migliorano il drenaggio dei fluidi cerebrali attraverso i vasi delle meningi. Alla luce di tutto questo potremmo domandarci se le pratiche di “drenaggio linfatico” funzionano. E qui le notizie sono meno buone. Il massaggio facciale può temporaneamente definire la linea della mascella favorendo il drenaggio dei liquidi, ma ci sono poche prove scientifiche di benefici come la riduzione delle infiammazioni o l’eliminazione della cellulite. Quindi, anche se ho imparato ad apprezzare il mio sistema linfatico, il rullo di giada non farà parte della mia routine mattutina. Mi dispiace, nonna! u fas

Alla fine del settecento l’anatomista Paolo Mascagni iniettò del mercurio nei cadaveri e osservò delle ramificazioni argentate

La ricerca potrebbe suggerire nuovi modi di intervenire, e forse aiutarci a capire meglio come funzionano alcuni farmaci già in uso

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Questo articolo è uscito sul numero 1642 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati