Due cose possiamo dire dopo aver letto il libro di Jonathan Haidt The anxious generation (La generazione ansiosa). La prima è che venderà moltissimo, perché racconta una storia da brividi sullo sviluppo dell’infanzia a cui molti genitori sono pronti a credere. La seconda è che la tesi secondo cui le tecnologie digitali stanno riprogrammando il cervello dei nostri figli provocando un’epidemia di disturbi mentali non è sostenuta dalla scienza. Ma soprattutto, la conclusione secondo cui la colpa è dei social media rischia di distrarci dal rispondere in modo efficace alle cause reali della crisi di salute mentale tra i giovani.

Haidt sostiene che la grande riprogrammazione della mente dei bambini è dovuta a “una pioggia di contenuti progettati per creare dipendenza”. E aggiunge che “sostituendo il gioco fisico e la socializzazione di persona, queste aziende hanno riprogrammato l’infanzia e cambiato lo sviluppo umano su una scala quasi inimmaginabile”. Per accuse così serie ci vogliono prove serie. Haidt usa moltissimi grafici per dimostrare che l’uso della tecnologia digitale e i problemi di salute mentale degli adolescenti stanno crescendo di pari passo. Ogni anno, alla prima lezione del mio corso di statistica, disegno alla lavagna due linee simili che collegano apparentemente due fenomeni disparati e chiedo agli studenti che ne pensano. Nel giro di pochi minuti, cominciano a fare complicate ricostruzioni di come i due fenomeni sono correlati, spiegando addirittura in che modo uno potrebbe essere la causa dell’altro. I grafici presentati nel libro di Haidt saranno utili per insegnare ai miei studenti le basi dell’inferenza causale e come evitare di inventare storie semplicemente osservando le linee di tendenza. Centinaia di studiosi, me compresa, hanno cercato i rapporti di causa ed effetto ipotizzati da Haidt. I nostri sforzi hanno prodotto un mix di associazioni inesistenti, labili o contrastanti. In gran parte i dati sono correlazioni. Quando nel corso del tempo emergono delle associazioni, queste non indicano che l’uso dei social media annuncia o causa la depressione, ma che i giovani già affetti da problemi di salute mentale usano queste piattaforme più spesso, o in modo diverso, rispetto ai coetanei sani. Molte meta-analisi e revisioni sistematiche arrivano alla stessa conclusione. Un’analisi condotta in 72 paesi non mostra alcuna associazione tra la salute e la diffusione globale dei social media. E i risultati dell’Adolescent brain cognitive development (Sviluppo cognitivo del cervello dell’adolescente), il più grande studio a lungo termine sul tema negli Stati Uniti, non mostrano prove di cambiamenti drastici legati all’uso della tecnologia digitale. Haidt è un narratore di talento, ma nella sua storia mancano le prove.

Naturalmente, le nostre conoscenze sono incomplete, c’è bisogno di più ricerche. Studiando da vent’anni la salute mentale dei bambini e degli adolescenti, e occupandomi dell’uso della tecnologia digitale, capisco la frustrazione e il desiderio di risposte semplici. Da madre di figli adolescenti, vorrei anche io poter individuare la fonte della tristezza e del dolore che questa generazione sta denunciando. Purtroppo, non ci sono risposte semplici. L’insorgenza di disturbi dello sviluppo o mentali come l’ansia e la depressione è dovuta a una serie complessa di fattori genetici e ambientali

Negli Stati Uniti il tasso di suicidi tra le persone di quasi tutte le fasce d’età è aumentato stabilmente negli ultimi vent’anni. Per i ricercatori, le cause principali sono l’accesso alle armi da fuoco, l’esposizione alla violenza, il razzismo e la discriminazione strutturale, il sessismo e gli abusi sessuali, l’epidemia di oppioidi, le difficoltà economiche e l’isolamento sociale. L’ultima generazione di adolescenti è cresciuta sulla scia della grande recessione del 2008. Negli Stati Uniti quasi un bambino su sei vive sotto la soglia di povertà e per di più sta anche crescendo in un’epoca segnata dall’abuso di oppioidi, dalle stragi nelle scuole e da crescenti tensioni legate alle discriminazioni e alle violenze razziali e sessuali. La buona notizia è che oggi i giovani parlano dei loro sintomi e dei loro problemi di salute mentale molto più apertamente che in passato. Quella cattiva è che i servizi disponibili per rispondere ai loro bisogni sono insufficienti. Negli Stati Uniti c’è in media uno psicologo scolastico ogni 1.119 studenti.

Reazioni istintive

Nei suoi libri Haidt usa l’analogia dell’elefante e del fantino per spiegare come le nostre reazioni istintive (l’elefante) possono trascinarsi dietro la nostra parte razionale (il fantino). Successive ricerche hanno mostrato quanto sia facile scegliere i dati in modo selettivo per assecondare le nostre prime reazioni istintive a un fenomeno. Quella di mettere in dubbio le ipotesi che consideriamo vere è una lezione che ci viene dallo stesso Haidt. Smentire delle conclusioni date per assodate mettendole alla prova dei dati può evitarci di fare la fine del fantino trascinato dall’elefante.

Due cose sui social media sono vere. La prima è che non ci sono prove che il loro uso stia riprogrammando il cervello dei bambini o causando un’epidemia di disturbi mentali. La seconda è che servono regole sul loro uso, dato il tempo che i giovani gli dedicano. Molte delle soluzioni proposte da Haidt sono ragionevoli, come una moderazione più severa dei contenuti e l’obbligo per le aziende di tenere conto dell’età degli utenti quando progettano piattaforme e algoritmi. Altre, come le restrizioni all’uso dei dispositivi mobili in base all’età, difficilmente funzionerebbero o, peggio, potrebbero essere controproducenti visto quello che sappiamo del comportamento degli adolescenti. Una terza verità è che c’è una generazione in crisi, con un bisogno disperato del meglio che possano offrire la scienza e le soluzioni basate su prove certe. Purtroppo, passiamo il tempo a raccontare storie non supportate dalla ricerca che fanno poco per sostenere i giovani, i quali chiedono e meritano di più. ◆ fas

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Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati