Marija Kolesnikova (Maksym Kishka, Reuters/Contrasto)

Quali torture e umiliazioni abbiano subìto le persone detenute nelle prigioni bielorusse è cosa nota. Chi non muore dietro le sbarre ne esce segnato per la vita. Questo è sufficiente per accogliere con gioia la liberazione di 123 detenuti politici (tra cui la leader dell’opposizione Marija Kolesnikova e Ales Bjaljatski, premio Nobel per la pace nel 2022) decisa da Minsk il 13 dicembre. Eppure, pensare che questo indichi un cambio di rotta sarebbe molto ingenuo. Per il dittatore bielorusso Aleksandr Lukašenko, infatti, i detenuti sono merce di scambio. Di solito dopo provvedimenti di grazia di questo tipo i posti nelle carceri non restano vuoti a lungo, anche perché c’è un ampio bacino di oppositori da cui attingere. Si tratta di un vero e proprio traffico di esseri umani al servizio degli interessi di Lukašenko, che è pronto a ricorrere a qualsiasi mezzo per raggiungere i suoi obiettivi. E che oggi va all’incasso della ricompensa statunitense.

Quest’ultimo scambio, come quello di settembre, è stato organizzato proprio da Washington e ha portato alla sospensione delle sanzioni statunitensi contro l’azienda statale Belaruskali, nella lista nera di Washington dall’agosto 2021. Una misura cruciale per Lukašenko, visto che Minsk è alle prese con una seria crisi economica che, con ogni probabilità, l’alleato russo non farà nulla per alleviare. Inoltre, avvicinandosi a Washington, Lukašenko manda un segnale al Cremlino: non siete l’unico alleato possibile. Da tempo Lukašenko si barcamena strategicamente tra est e ovest: è uno degli strumenti del suo arsenale politico. Secondo l’inviato del presidente Donald Trump che ha negoziato con Minsk, il leader bielorusso potrebbe esercitare una certa influenza sul presidente Putin sulla guerra in Ucraina. Al momento, però, di questa sua capacità negoziale non c’è traccia, e tra Minsk e Mosca non è difficile intuire chi sia il burattino e chi il burattinaio. Nelle prigioni bielorusse ci sono però ancora più di mille detenuti politici. La loro liberazione dev’essere una priorità per l’Europa, che non può assolutamente lasciare la questione in mano agli Stati Uniti. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1645 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati