Di recente un’amica festeggiava un compleanno importante (che segnava l’inizio della seconda metà della sua vita) e ci ha detto che il suo nuovo obiettivo era smettere di sentirsi sempre così ansiosa, cominciando a divertirsi traformando l’esistenza in “un’avventura”. Mi ha chiesto un consiglio su come riuscirci e le ho parlato di qualcosa che il filosofo danese del diciannovesimo secolo Søren Kierkegaard definiva “un’avventura che ogni essere umano deve affrontare per non perdersi”. Secondo lui era addirittura la “cosa più importante” della vita.
Parlava per caso della scalata del monte Everest, di una maratona o di qualsiasi altra impresa degli anni quaranta dell’ottocento? No. Kierkegaard si riferiva all’ansia, convinto che comprenderla e usarla fosse una grande opportunità.
Oggi questa proposta potrebbe sembrare bizzarra, anche alla luce del fatto che, come ha scritto Scott Stossel, autore di Ansia. Paure e speranze alla ricerca di una pace interiore (Giunti 2018), l’ansia è il disturbo mentale più comune negli Stati Uniti e colpisce più di quaranta milioni di adulti (soprattutto donne). E per la maggior parte sembra essere un flagello, non un’opportunità: qualcosa da eliminare, se possibile. Ma in realtà, per quanto riguarda la mia amica e la maggior parte di noi, Kierkegaard aveva ragione. Sempre restando all’interno dei confini di ciò che è sano e se gestita correttamente, l’ansia è una parte integrante della vita che ci permette di imparare, migliorare e perfino trasformare la nostra esistenza in un’avventura.
Meccanismo di allarme
Anche se si parla molto di ansia, può essere difficile descriverla e distinguerla da sensazioni simili come la paura, la preoccupazione o lo stress. Un modo per capire la dinamica con cui queste emozioni si combinano, è riconoscere che l’ansia è una forma di paura generalizzata, caratterizzata da pensieri negativi ricorrenti (preoccupazioni) e manifestazioni fisiologiche (stress). I biologi evoluzionisti non considerano l’ansia come un malfunzionamento del sistema nervoso e percettivo, ma ritengono che sia parte di un meccanismo di allarme che impedisce ai pericoli potenziali di diventare danni reali.
L’ansia cronica, tuttavia, può diventare una forma di disadattamento. Se il sistema di allarme ha una soglia troppo bassa, come un rilevatore di fumo che si attiva ogni volta che si cucina qualcosa, questa sensibilità diventa un problema. Gli stimoli quotidiani – per esempio andare a una festa o parlare davanti a poche persone – non dovrebbero provocare ansia. Se accade, è un segnale di squilibrio.
Diverse ricerche hanno mostrato che l’incidenza dell’ansia come disturbo (cioè un fattore che interferisce in modo significativo sulla qualità della vita) è cresciuta in tutta la popolazione, in particolare tra i giovani: dal 2008 al 2018 la percentuale di statunitensi tra i 18 e i 25 anni con un disturbo d’ansia è quasi raddoppiata, arrivando al 15 per cento. Più di recente sono state colpite anche le fasce d’età inferiori. Durante la pandemia la percentuale di bambini e adolescenti che ne soffrivano ha raggiunto il 20 per cento.
Non c’è un consenso sulle cause di questo incremento, ma molte prove indicano che i social media hanno avuto un ruolo importante. Come hanno dimostrato alcuni esperti nel 2017 il rischio di sviluppare un disturbo d’ansia cresce parallelamente al tempo trascorso su queste piattaforme.
L’ansia eccessiva ha conseguenze psicologiche e fisiche. Le persone sempre in ansia manifestano livelli più elevati di interleuchina 6, una proteina che può aumentare il rischio di sviluppare malattie autoimmuni e alcuni tipi di cancro, ed è associata anche alle coronaropatie. Secondo alcuni ricercatori le persone molto ansiose hanno un rischio di infarto paragonabile a quello dei fumatori.
Per Kierkegaard l’ansia era addirittura la cosa più importante della vita
Considerando queste informazioni verrebbe da pensare che l’ansia, a qualsiasi livello, sia un male da evitare o da ridurre al minimo. Ma non è così. Tanto per cominciare, ci protegge avvertendoci di pericoli potenziali. Se eliminassimo del tutto l’ansia quando siamo alla guida, per esempio, non saremmo sufficientemente vigili rispetto ai rischi del traffico.
Anche i racconti personali confermano alcuni aspetti positivi degli stati d’ansia: le persone che ne soffrono in modo debilitante riconoscono che questo stato comprende anche benefici emotivi. Come sottolinea Stossel, l’ansia può migliorare la sensibilità verso gli altri, favorire l’empatia e rafforzare la conoscenza di sé.
Ma cosa c’entra tutto questo con l’avventura di cui parlava Kierkegaard? La ricerca sulle esperienze ottimali può aiutarci a trovare una risposta.
Nel 2014 è stato pubblicato sul Journal of Experimental Social Psychology uno studio su come l’ansia agisce quando si è impegnati a svolgere un compito, focalizzandosi sul “flusso”, cioè quel gratificante stato di totale concentrazione e coinvolgimento identificato negli anni settanta dallo psicologo Mihály Csíkszentmihályi.
Filosofia e gratitudine
I ricercatori hanno scoperto che le persone impegnate in un’operazione informatica complessa raggiungevano livelli più elevati di flusso se mostravano un livello moderato di attivazione simpatica e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. In altre parole, provavano una certa ansia senza però esserne travolti. Forse vi sarà capitato di sentirvi particolarmente vivi quando lavorate al massimo e vi spingete vicini al limite.
L’avventura può essere anche filosofica. Uno studio pubblicato sul Journal of Positive Psychology si è concentrato sulle esperienze che provocano un’ansia esistenziale, come la migrazione, la malattia o la violenza. I ricercatori hanno scoperto che sebbene nessuno volesse vivere questi eventi traumatici, le persone hanno riportato diversi benefici derivanti dall’aver affrontato l’ansia: libertà dalle limitazioni imposte dalla vita passata, migliore comprensione del significato della vita e capacità di trovare una direzione appagante per la loro esistenza. Molti hanno addirittura detto di provare gratitudine per quell’esperienza.
Chiaramente un disturbo che coinvolge un’ansia debilitante non deve mai essere minimizzato, ma va trattato come un serio problema medico. Tuttavia l’ansia in sé non è il nemico, e può anche diventare un’alleata se compresa e gestita correttamente. Ecco cosa ho consigliato alla mia amica nel giorno del suo compleanno.
Il primo passo è quello di accettare l’ansia come un fenomeno normale, senza cercare di sopprimerla. Riuscirci può essere molto difficile, soprattutto se per tutta la vita è stata considerata un sentimento dannoso da eliminare. Tra l’altro la faccenda dell’eliminazione non funziona: esperimenti condotti a partire dal 2009 hanno mostrato che le persone a cui viene chiesto di sopprimere i comportamenti ansiosi provano un incremento dell’ansia rispetto a quelle invitate ad accettarli. Sia al lavoro sia a casa, quando l’allarme scatta e gli ormoni dello stress si impennano, vi consiglio di dirvi: “È solo il mio cervello che mi avverte di qualcosa di insolito”.
Il secondo passo è ricordare che per vivere un’avventura serve proprio “qualcosa di insolito”, e inquadrare l’ansia non come paura ma come il segnale di un’opportunità. Kevin Majeres, psichiatra della facoltà di medicina di Harvard, ha definito l’ansia “adrenalina interpretata scorrettamente”. L’obiettivo non è sbarazzarsi dell’adrenalina – un ormone che migliora le prestazioni – ma cambiarne l’interpretazione. Può essere semplice, come dirsi “tutto questo è eccitante” quando qualcosa ci stressa.
Prezzo da pagare
Quindi ho detto alla mia amica: “Fai bene a voler vivere nuove esperienze per trasformare in un’avventura la seconda parte della tua vita. Ma dovresti anche concentrarti sulle cose che ti hanno sempre spaventata, come i conflitti al lavoro o a casa, le preoccupazioni per la salute o la situazione del mondo, e tutto ciò che ti tiene sveglia la notte. Comincia accettando pienamente queste fonti di ansia, una per una. Poi reinterpreta ogni problema come una sfida. Immagina un rapporto nuovo ed energico con il tuo compagno e pensa a come impegnarti per migliorare la tua salute, ricostruire la tua carriera o dedicarti a una causa che ti appassiona. Questa risposta positiva trasformerà la fonte della tua ansia in un’avventura e, inoltre, ti renderà molto felice”.
A quel punto la mia amica mi ha chiesto: “Se seguo il tuo consiglio non mi dispiacerà più provare ansia?”. “No”, le ho risposto. “Probabilmente l’ansia continuerà a non piacerti”. Come scrisse Kierkegaard, l’ansia è “una vertigine della libertà”, la conseguenza di una vita piena. Il prezzo si paga sempre, e non dev’essere piacevole. Semplicemente, potrebbe valerne la pena. ◆ as
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 110. Compra questo numero | Abbonati