Vivo in una regione che da decenni conosce quasi solo la violenza. Dove ai massacri seguono altri massacri. Dove città millenarie vengono distrutte e dove regna la legge del più forte e dell’impunità. Il mondo arabo era morto. La Siria era la sua tomba e Gaza l’ultimo chiodo sulla bara. Ora improvvisamente risorge la speranza. Uno dei regimi più criminali al mondo, che ha ucciso centinaia di migliaia di persone e ne ha fatte sparire altre decine di migliaia, che ha venduto il suo paese per mantenere il potere, che è sopravvissuto solo grazie al sostegno della Russia e dell’asse della “decadenza” (tra Iran e Libano), oltre che all’abbandono degli occidentali, è caduto senza massacri. Quest’ultimo aspetto è importante e rende il momento ancora più storico.
Ci sono molte incognite, a partire dal gruppo che ha guidato la rivolta: Hayat tahrir al Sham (Hts), che nonostante la sua immagine ripulita rimane una formazione jihadista e fondamentalista. Il suo leader, Abu Mohammed al Jolani, sta dimostrando una formidabile intelligenza politica, ma non bisogna lasciarsi ingannare sulle sue reali intenzioni. Lo stesso vale per la Turchia, che ha dato sostegno a questa offensiva e non nasconde la sua volontà di schiacciare le forze curde per creare una zona di sicurezza nel nord della Siria, né le sue velleità imperialiste.
Tutto è collegato, particolarmente in Libano, Siria e Palestina. Nulla si poteva fare senza la caduta del regime siriano, ma niente si può stabilizzare senza uno stato palestinese
Le sfide sono tante. Come evitare un bagno di sangue tra forze ribelli e quel che resta dell’esercito siriano trincerato nell’ultima roccaforte alawita, la zona in cui le tensioni confessionali rischiano di essere più forti? Come evitare una guerra civile tra i ribelli e i curdi? Cosa faranno le truppe russe? E Hezbollah?
Non siamo alla fine della storia. Dopo decenni di dittatura e di repressione, dopo che il figlio ha ultimato e allo stesso tempo distrutto l’eredità del padre, e nel contesto geopolitico attuale, c’è da temere che il paese vada ancora incontro a scossoni, momenti d’instabilità e violenza. La comunità internazionale, o quel che ne resta, ha un ruolo chiave per fare in modo che la transizione sia pacifica.
Domani verrà il tempo delle preoccupazioni, dei calcoli e forse dei postumi della sbornia, quella orribile sensazione che abbiamo sperimentato tanto negli ultimi anni in Libano e in tutta la regione. Le rivoluzioni raramente si concludono bene in Medio Oriente e lo spettro islamista è spaventoso. Ma oggi, solo oggi, dobbiamo festeggiare. Perché la liberazione dei prigionieri siriani, la gioia delle famiglie che ritrovano i loro cari scomparsi, degli oppositori o dei rifugiati in Medio Oriente o in Europa che intravedono la possibilità di tornare a casa, c’impongono di farlo. Ce lo impone la maturità politica con cui si comportano, per il momento, l’opposizione e più in generale il popolo siriano, pur avendo subìto le peggiori atrocità possibili. E ce lo impone la battaglia di tutti quelli – soprattutto siriani e libanesi – che sono stati uccisi da questo regime. Come non pensare a loro oggi?
Il futuro forse non sarà roseo, ma nulla può essere peggiore dello “Stato della barbarie” di Assad. Per i siriani e per la regione. Questa è una lezione per tutti i dittatori del Medio Oriente e non solo, per tutti quelli che hanno normalizzato i loro rapporti con il regime cedendo al suo ricatto di “Assad o il caos”, fingendo di non vedere che è ed è sempre stato la principale fonte di questo caos. A tutti loro i siriani ricordano che si può soffocare una rivoluzione, ma non la si può mai uccidere definitivamente. C’è una rivendicazione di cambiamento che agita tutta la regione e sulla quale tutto il mondo ha voluto mettere il coperchio. Alla fine però è esplosa.
Tutto è fragile e probabilmente il domino non è finito. La caduta di Bashar al Assad avrà conseguenze in Libano, in Iraq e forse anche in Iran. L’asse iraniano sta collassando in tutta la regione e questo stravolgimento rischia di essere violento. La Turchia di Erdoğan è la grande vincitrice e si presenta come l’unica potenza in grado di contrastare l’egemonia israeliana in Medio Oriente.
Tutti questi avvenimenti non sarebbero forse mai stati possibili senza gli eventi del 7 ottobre 2023. Il leader di Hamas Yahya Sinwar ha trascinato tutti gli alleati nella sua caduta. Ma gli attentati hanno anche portato a un’ondata di violenza mai vista (neppure in Siria) nella Striscia di Gaza. Anche in un momento come questo, non possiamo dimenticare quello che è successo nell’enclave palestinese. Tutto è collegato, particolarmente in Libano, Siria e Palestina. Nulla si poteva fare senza la caduta del regime siriano, ma niente si può stabilizzare senza la creazione di uno stato palestinese. Ormai Israele non può più nascondersi dietro la minaccia iraniana.
Per la prima volta dalle primavere arabe diventa nuovamente possibile credere, pur mantenendo gli occhi ben aperti, che la giustizia esiste. È ora che la giustizia prevalga anche in Palestina. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1593 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati