N el dicembre del 2020 una carovana di suv neri ha raggiunto un piccolo villaggio nella giungla, in un angolo sperduto dell’America Latina. Un uomo alto e robusto, con catene d’oro che penzolavano sopra una camicia stretta, è sceso dalla più grande di queste auto, acclamato da tutti. Quell’uomo era Ronnie Brunswijk. Figlio di contadini, aveva lasciato quel villaggio, Moiwana, cinquant’anni prima per cercare una vita migliore. Ci tornava come uno degli uomini più ricchi, potenti e popolari del Suriname, e veniva per portare l’elettricità alla sua comunità, composta dai cimarroni, i discendenti delle persone in fuga dalla schiavitù.
Nel 202o Brunswijk è diventato il primo cimarrone a ricevere l’incarico di vicepresidente del Suriname, piccolo paese sudamericano sospeso tra l’oceano Atlantico e la foresta amazzonica. Prima di entrare in politica è stato paracadutista d’élite, calciatore, rapinatore di banche, leader guerrigliero, barone dell’oro. E ha almeno cinquanta figli. Sua madre ha raccontato che per strada le capita di essere abbracciata da sconosciuti che sostengono di essere suoi nipoti.
Brunswijk è stato condannato per traffico di droga in Europa, ma ha contribuito a portare la democrazia nel suo paese. La sua generosità gli è valsa il soprannome di Robin Hood e l’adorazione dei suoi sostenitori, ma ha spinto molti surinamesi a interrogarsi sull’origine della sua ricchezza. Per certi versi quest’uomo è un condensato delle contraddizioni della società del Suriname, piccola e chiusa, dove i confini tra buoni e cattivi sono sottili, la storia diventa subito mito e la gente ha imparato che per mantenere la pace sociale è meglio non fare troppe domande.
“Tutto quello che possiedo lo regalo alla gente”, mi ha detto a dicembre Brunswijk, 59 anni, nel suo ufficio, in un ex edificio coloniale che domina Paramaribo, la compassata capitale del Suriname. “È da quando sono bambino che cerco di dare una mano agli altri. Ora posso aiutare tutto il paese”.
In completo e cravatta, Ronnie Brunswijk ha l’aura dell’uomo di stato. Vorrebbe guidare il Suriname fuori dalla povertà grazie alle risorse petrolifere scoperte di recente al largo della costa, e migliorare le condizioni di vita della minoranza cimarrona. È un cambiamento non da poco per un uomo abituato a lanciare soldi da un elicottero ai suoi sostenitori e che durante gli anni della dittatura militare, ufficialmente finita nel 1988, era un ricercato. La storia della sua vita ricorda, per molti aspetti, il turbolento viaggio compiuto dal Suriname attraverso crisi economiche e violenze politiche, da quando il paese si liberò dal dominio coloniale olandese nel 1975. “Brunswijk ha la sua storia, che potremmo anche considerare un ostacolo”, ha dichiarato il presidente del Suriname, Chan Santokhi. Quando era poliziotto, negli anni ottanta, Santokhi diede la caccia a Brunswijk. Nel 2020 gli ha chiesto di formare un governo di coalizione.
Dalla sabbia al collegio
Ronnie Brunswijk è nato in una famiglia con dieci figli, contando solo quelli sopravvissuti, in una delle regioni più povere del Suriname. Vivevano principalmente di riso, manioca e banane che riuscivano a coltivare nel terreno sabbioso. A volte si mangiava carne, la selvaggina che Brunswijk e i fratelli cacciavano armati di coltelli.
La famiglia numerosa e i pochi soldi gli insegnarono a condividere tutto con gli altri già da piccolo. Sua madre racconta che era un “monello”, che si azzuffava con gli altri bambini del vicinato ma andava anche a tagliare la legna per gli anziani. La vita di Brunswijk cambiò improvvisamente quando a dieci anni un sacerdote cattolico lo scelse, unico tra i suoi fratelli, per frequentare un collegio in una città vicina. “Non avevo mai visto la corrente elettrica prima di andare in quella scuola”, ricorda.
Gli studi portarono Brunswijk a Paramaribo, dove nel 1980 fu arruolato nell’esercito del Suriname da Desiré Bouterse, il dittatore che aveva da poco preso il potere promettendo di spazzare via la corruzione dei governanti post-coloniali. Diventò uno dei primi paracadutisti del Suriname e fu inviato a Cuba per l’addestramento militare, per poi essere scelto da Bouterse come guardia del corpo. I due diventarono amici, ma Brunswijk dice che il loro rapporto si deteriorò quando il dittatore cominciò a uccidere gli oppositori politici e a reprimere la comunità cimarrona. “Ai cimarroni non piace subire l’autorità. Un giorno gli ho detto: ‘È sbagliato’. Ne avevo abbastanza”, racconta.
◆ 1961 Nasce a Moiwana, nel Suriname.
◆ 1980 Entra nell’esercito.
◆ 1986 Guida una rivolta armata contro il dittatore Desiré Bouterse. L’esercito surinamese attacca per ritorsione il villaggio di Moiwana e uccide 39 persone, soprattutto donne e bambini.
◆ 1999 Brunswijk è condannato per traffico di droga.
◆ maggio 2020 Partecipa alle elezioni ed è eletto in parlamento.
◆ luglio 2020 Diventa vicepresidente del governo di coalizione di Chan Santokhi.
Quella separazione definì la storia del Suriname gli anni seguenti. Brunswijk lasciò l’esercito nel 1984, dandosi alla fuga. Cominciò a costruirsi una fama da Robin Hood, guadagnandosi una condanna per rapina in banca, ma anche il favore degli abitanti dei villaggi cimarroni per via delle sue generose donazioni. Oggi Brunswijk nega di aver commesso dei crimini, e afferma che le condanne erano dei tentativi di Bouterse di screditarlo. Spiega che i soldi che donava provenivano da una miniera d’oro. Alla fine fu catturato, ma riuscì a fuggire nei Paesi Bassi, dove si unì agli esiliati politici che progettavano di rovesciare Bouterse.
Tornato in patria nel 1986, Brunswijk guidò una rivolta armata con 1.200 uomini. La guerra civile durò sei anni. Da quel che hanno raccontato i veterani di guerra, i suoi limiti in fatto di esperienza militare e visione strategica venivano compensati da una straordinaria forza di volontà. “Aveva uno spirito forte. Non aveva bisogno di pagare le persone. Gli obbedivano”, ha detto Petrus Adam, un ex comandante dei ribelli.
Questa guerriglia riuscì a combattere il governo fino a costringerlo a una tregua, e contribuì ad avviare il ritorno del Suriname alla democrazia. Ma questo compromesso politico ebbe un prezzo: centinaia di morti e il crollo dell’economia, da cui il giovane paese non si è ancora ripreso. Dopo la guerra Brunswijk è stato accusato di traffici di droga. Entrambi gli schieramenti in guerra, spiegano gli storici olandesi, ricorrevano a questi traffici per finanziarsi.
Nel 1999 un tribunale dei Paesi Bassi ha condannato Brunswijk in contumacia per aver gestito un giro di cocaina. Una condanna simile è arrivata anche dalla Francia l’anno successivo, ma Brunswijk ha sempre negato le accuse, sostenendo che la sua fortuna proveniva da concessioni di legname e da miniere d’oro ottenute dopo il conflitto. Aveva avviato la sua prima impresa commerciale, una segheria, grazie alle sovvenzioni del governo olandese.
Brunswijk ha poi usato quel denaro per entrare in politica, intercettando i voti dei cimarrone, una quota piccola ma decisiva. Così è diventato l’ago della bilancia nel sistema elettorale parlamentare del Suriname. Rieletto in parlamento nel 2020, ha formato un governo di coalizione con il presidente Santokhi. Da politico, ha continuato ad aiutare i surinamesi in difficoltà pagando spese mediche, funerali e case e guadagnandosi così la devozione delle comunità cimarroni. Ha comprato automobili nuove a tutti i giocatori della squadra di calcio locale, di cui è proprietario. Ma ha anche aiutato molti rifugiati a tornare ai loro villaggi dopo la guerra.
Un momento storico
Per i suoi detrattori questi regali non fanno altro che tenere gli elettori in una condizione di dipendenza, senza offrire un vero miglioramento. Ma chi lo sostiene dice che questi aiuti sono un’ancora di salvezza in un paese senza protezioni sociali, e che ogni giorno si presentano davanti al suo ufficio persone che arrivano da tutto il Suriname.
Ora Brunswijk spera di usare la carica di vicepresidente per costruire una vera rete di sicurezza sociale e portare infrastrutture fondamentali alle comunità che per secoli sono state ignorate dai governanti del paese.
“Questo è un momento storico: il villaggio dove sono nato potrà finalmente avere l’energia elettrica”, dichiarava a dicembre Brunswijk, visibilmente commosso, dopo aver avviato la centrale elettrica a Moengotapoe tra i canti di gioia degli abitanti. “Ho sempre voluto che succedesse. E ora che sono il vicepresidente finalmente posso farlo io”. ◆ ff
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1397 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati