Secondo l’architetta Lenka Petráková, lo spostamento dell’inquinamento dalla terraferma agli oceani ha allontanato il problema dagli occhi delle persone, creando l’illusione che non ci sia. Ma non è così: le attività umane sulla terraferma danneggiano gli oceani, con gravi conseguenze per tutti noi. Magari non ce ne accorgiamo, ma la microplastica che finisce in mare è ingerita dagli animali marini ed entra nella nostra catena alimentare. Petráková ha ideato un progetto per richiamare l’attenzione sul problema. “Il benessere degli oceani è fondamentale per gli esseri umani, che oggi sono minacciati anche dall’aumento del livello del mare”, dice l’architetta. Il progetto della stazione galleggiante, chiamata Ottavo continente (un chiaro riferimento alla grande isola di plastica nell’oceano Pacifico), è nato nel 2017 con la tesi di laurea di Petráková, che negli anni dell’università era entrata in contatto con ambientalisti e costruttori.
L’obiettivo della stazione, ispirata ai meccanismi naturali, è ripulire gli oceani raccogliendo i rifiuti e decomponendo e riciclando la plastica. La struttura, per ora solo allo stadio di progetto, somiglia a un fiore e l’energia che serve per farla funzionare viene dalle forze della natura. “La mia visione si basa sull’interazione tra tecnologia ed estetica. In questo progetto ho cercato quindi di adattare l’aspetto estetico alle esigenze dettate dai fenomeni naturali”, spiega.
Pannelli solari
La stazione, che è autosufficiente dal punto di vista energetico, processa i rifiuti raccolti e le acque inquinate. Le barriere che raccolgono i rifiuti servono anche a incamerare energia dalle maree, e queste a loro volta azionano una turbina che fa funzionare le barriere. La stazione è ricoperta di pannelli solari, che provvedono a riscaldare i serbatoi di acqua salata favorendone l’evaporazione. L’acqua, desalinizzata e filtrata, può essere usata nelle serre della stazione per coltivare piante (come broccoli, cavoli, spinaci e pomodori) e anche specie alofite, in grado cioè di crescere su terreni salini, per produrre biodiesel, che contribuirebbe all’indipendenza energetica della stazione.
L’impianto è stato progettato per inserirsi nell’ambiente naturale senza danneggiarlo in alcun modo. È previsto che il guscio esterno sia costruito usando i materiali delle navi. Per quanto riguarda gli interni, i vasi per le piante saranno prodotti usando stampanti 3D a partire dai rifiuti raccolti in mare. Il resto dei rifiuti sarà invece smistato e trasportato a terra.
Cinquanta ospiti
La stazione, che ha una capienza di 79mila tonnellate di rifiuti, è anche dotata di un collettore in cui la plastica è smistata, sottoposta a un processo di biodegradazione e stoccata. La stazione può essere utile anche per la ricerca e la formazione, e per sensibilizzare l’opinione pubblica sugli oceani in pericolo. Può ospitare circa cinquanta persone tra scienziati, tecnici e visitatori. “Gli ospiti potranno seguire tutto il procedimento, rendendosi conto dell’enorme quantità di plastica che finisce in mare”, spiega Petráková.
Il progetto Ottavo continente è ancora lontano da una realizzazione concreta. Attualmente l’architetta sta mettendo a punto gli ultimi dettagli ed è alla ricerca di investitori disposti a finanziarne la costruzione. La sua speranza è che in futuro progetti di questo tipo si possano moltiplicare e che, oltre a ridurre l’inquinamento degli oceani, abbiano anche un valore educativo e di prevenzione.
“I visitatori potranno trascorrere alcuni giorni a bordo e, lavorando come volontari, contribuire alle varie fasi del processo, rendendosi conto dell’importanza degli oceani”, spiega Petráková. “In futuro vorrei costruire altre dodici stazioni dedite solo alla raccolta dei rifiuti ed eventualmente al riciclo della plastica”. ◆ ab
Lenka Petráková _ è un’architetta slovacca che attualmente lavora allo studio Zaha Hadid architects a Londra. Il suo progetto Ottavo continente ha vinto il grand prix Architettura e innovazione per il mare della Fondazione Jacques Rougerie. _
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Questo articolo è uscito sul numero 1395 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati