Quattordici Jeep sono ferme con il motore al minimo vicino ad alcuni cuccioli di leone che riposano. Nell’aria del mattino si sente l’odore di benzina. Un paio di guide accosta i fuoristrada schiacciando la vegetazione del parco nazionale del Chobe, in Botswana, per offrire una vista migliore ai visitatori. Una alla volta le auto ripartono verso altri animali o verso i lodge, dove i turisti pranzeranno per poi salire su piccoli ultraleggeri. Probabilmente sono arrivati fin lì dal Sudafrica prima prendendo un aereo e poi un’auto.

I voli privati e i resort nel mezzo della savana possono sembrare in contrasto con l’ecosostenibilità, una delle tendenze più in crescita nel settore turistico. Eppure i safari sostenibili hanno un ruolo importante nella tutela del territorio perché contribuiscono all’estensione delle aree protette, agli investimenti nella ricerca ambientale e al sostegno economico delle comunità locali. Ora che la questione del cambiamento climatico è più pressante, aumentano i viaggiatori che cercano safari etici dal punto di vista ambientale e sociale. Come indica un rapporto di Go2Africa, un’azienda che organizza safari, negli ultimi quattro anni l’interesse per questo tipo di attività fatte in modo sostenibile è raddoppiato. Molte aziende europee del settore hanno cominciato a offrire viaggi a emissioni zero (o addirittura negative), sostituendo le Jeep con veicoli elettrici, installando pannelli solari e acquistando crediti di carbonio per compensare i viaggi aerei dei loro ospiti. Promettono ai viaggiatori di godersi una vacanza senza impronta di carbonio e sensi di colpa.

Alcuni esperti di sostenibilità però temono che tutti questi sforzi possano essere solo un sistema astuto per sfruttare l’ansia climatica che, secondo un recente sondaggio del World economic forum, ha raggiunto livelli mai visti prima. Nella migliore delle ipotesi, chi organizza i safari sa come catturare l’attenzione dei viaggiatori attenti all’ambiente. 

Si chiama _ green crowding_ (grosso modo affollamento verde, per confondersi con le altre aziende in merito alla propria sostenibilità), spiega Judy Kepher-Gona, direttrice di Sustainable travel and tou­rism Africa, una società di consulenza che aiuta le aziende e le località turistiche a raggiungere i loro obiettivi di sostenibilità. “I professionisti del marketing nel settore turistico sono intelligenti: basta parlare di neutralità carbonica e le persone ti ascoltano. Cosa che fanno di meno quando sentono parlare di sostenibilità in generale. È un concetto più semplice da capire e in mancanza di un termine più accattivante usano tutti questa locuzione”.

Manipolazione dei dati

Esiste davvero un safari a emissioni zero? È questo l’elefante nella stanza. “Forse dal punto di vista teorico, inserendo i dati in un foglio di calcolo è possibile”, afferma Lisa Scriven, responsabile di Fair trade tourism e coordinatrice per l’Africa di Green destinations. 

La manipolazione dei dati, le omissioni oppure le diverse opinioni su cosa sia una struttura sostenibile sono tutti fattori che rendono difficile stabilire quanto sono rigorosi gli operatori turistici che etichettano i loro safari a “emissioni zero”. Per esempio, spiega Scriven, alcune strutture si dichiarano a impatto zero ma rifiutano di calcolare le loro emissioni di Scope 3, cioè quelle indirette, che includono tutto ciò che non producono. Nell’Africa più remota, dove i rifornimenti, gli ospiti, i dipendenti o le bottiglie di champagne devono tutti affrontare un lungo viaggio per raggiungere una zona del Serengeti o del delta dell’Okavango, questo dato può raggiungere livelli molto alti. 

Sia Kepher-Gona sia Scriven mettono in guardia dall’avere una fiducia cieca nella promessa di una compensazione delle emissioni di carbonio. Una pratica che la maggior parte degli operatori turistici “a impatto zero” include automaticamente aumentando il prezzo o proponendola ai clienti come opzione a pagamento. Per essere davvero efficaci, i programmi di compensazione dovrebbero avere un legame diretto con la destinazione visitata e investire in giustizia climatica.

Se si hanno dubbi sulla serietà di un lodge o di una qualsiasi altra struttura, Scriven consiglia di verificare attraverso parti terze affidabili, come Credible carbon. Nel peggiore dei casi, una struttura ben intenzionata potrebbe non acquistare crediti di carbonio nel modo corretto. Purtroppo oggi il mercato è pieno di truffe. Gli esperti di sostenibilità affermano che anche l’obiettivo emissioni zero non basta da solo a garantire un risultato ecologico di lungo termine, anzi rischia di distogliere l’attenzione da questioni più importanti. “Quando un’azienda dichiara di essere a emissioni zero suscita subito ammirazione, ma potrebbe avere un forte impatto sul resto della comunità”, dice Scriven. 

La pensa così anche Grant Cumings, direttore di Chiawa safaris in Zambia: “Se un’azienda è attenta al clima, non significa che si stia prendendo cura anche della vegetazione, degli animali, delle persone o dell’economia del luogo. Sono tutti fattori altrettanto importanti”.

Ma ci sono delle buone notizie: aumentano le aziende che propongono safari sostenibili, che riducono le emissioni di carbonio e che adottano questi standard a tutti i livelli della loro attività. Segera, fondatore di The long run, una rete di operatori turistici attenti all’ambiente che offre alcuni dei migliori safari etici in Africa, come quelli nel parco nazionale Singita Kruger o quello nella riserva naturalistica privata Tswalu, adotta il criterio delle quattro c: conservazione, comunità, cultura e commercio.

Segera ha trasformato un ex allevamento di bovini nel più grande progetto di riforestazione dell’Africa orientale che include una riserva privata e un’oasi naturalistica per reintrodurre i rinoceronti a rischio di estinzione. Si trova a Laikipia, in Kenya, una regione segnata dalle ingiustizie fin dall’inizio del novecento, quando il governo coloniale britannico cacciò il popolo masai, per questo Segera ci tiene molto ai rapporti con i villaggi vicini.

“La neutralità carbonica è un aspetto della sostenibilità, ma noi ci concentriamo molto di più sulla comunità”, afferma Joy Juma, responsabile dei programmi della fondazione Zeitz, che coordina le iniziative sostenibili di Segera. “Coinvolgiamo gli abitanti nel progetto offrendogli opportunità di lavoro, borse di studio, formazione e assistenza medica”. 

Un altro principio fondamentale è la conservazione: proteggere gli animali dai bracconieri, usare materiali da costruzione ecocompatibili e ridurre gli sprechi. Le aziende più lungimiranti stanno portando avanti progetti per la biodiversità. In Sudafrica la riserva &Beyond Phinda lavora a un programma di reintroduzione del pangolino, mentre gli operatori del Singita lodge, in Ruanda, stanno creando una zona cuscinetto per i gorilla di montagna.

Certificazione riconosciuta

Davanti ai tanti aspetti della sostenibilità è comprensibile che spesso chi deve scegliere un safari si senta sopraffatto e sia tentato di affidarsi a un singolo parametro, come la neutralità carbonica. Per evitare il greenwashing, gli esperti suggeriscono di scegliere una struttura che abbia una certificazione riconosciuta di sostenibilità. Le organizzazioni serie fanno verifiche indipendenti sul posto almeno ogni tre anni. Andrea Ferry, coordinatrice della sostenibilità del gruppo Singita, suggerisce inoltre di consultare i siti dei lodge e di cercare dati chiari sulle spese per i progetti di conservazione e per la comunità. La collaborazione con le organizzazioni non profit è un altro buon segno.

Prima di prenotare un safari bisogna fare le domande giuste, così da responsabilizzare le aziende, suggerisce Kepher-Gona: “Quali sono i vostri princìpi di sostenibilità? Le vostre affermazioni sono state certificate? Come misurate i vostri obiettivi? Dove posso leggere il vostro ultimo rapporto sulla sostenibilità? Cosa avete fatto per la comunità locale negli ultimi trent’anni?”.

Alcuni lodge, sostiene Ferry, sono entusiasti di far vedere ai loro ospiti gli impianti di riciclo, quelli per il recupero dell’acqua piovana o i pannelli solari. Le strutture devono dare la priorità alla responsabilità e alla trasparenza.

Segera spera di passare ai veicoli elettrici per l’osservazione degli animali selvatici, mentre Singita sta lavorando a un sistema per calcolare le emissioni di carbonio Scope 3 e per gestire meglio il consumo di acqua.

“La sostenibilità è complessa ed è raro trovare soluzioni perfette. Più si riesce a pensare in modo olistico, migliore è la soluzione”, dice Ferry. ◆ nv 

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Questo articolo è uscito sul numero 1619 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati