Da più di un anno Gabriel è bloccato a Matamoros, nello stato messicano di Tamaulipas. Nel novembre del 2019 aveva attraversato il confine con gli Stati Uniti per chiedere asilo insieme alla moglie e a due figli, di quindici anni e quattordici mesi. Si era presentato alle autorità statunitensi spiegando di essere fuggito da San Pedro Sula, in Honduras, perché le gang criminali gli avevano chiesto dei soldi e avevano minacciato di ucciderlo se non avesse pagato. Era stato inserito nel programma Remain in Mexico (Resta in Messico), e da allora è costretto ad aspettare l’evoluzione del suo caso a sud del rio Bravo, a Matamoros. Per quasi un anno Gabriel ha dormito in una tenda in un accampamento per migranti. Poi, quando la moglie è rimasta incinta, un’organizzazione li ha aiutati ad affittare una stanza, dove vivono attualmente.
Il suo caso è fermo da quando le autorità degli Stati Uniti hanno chiuso i tribunali a causa della pandemia di covid-19. L’unica udienza si è svolta un anno fa, nel febbraio del 2020.
Una fuga continua
Ma il 12 febbraio il governo di Washington ha annunciato che ammetterà i richiedenti asilo che si trovano in Messico, restituendo la speranza a Gabriel. “È la prima volta che sentiamo parlare di una soluzione”, afferma l’uomo.
Secondo le autorità statunitensi, circa 25mila persone devono ancora ricevere una risposta alla loro domanda d’asilo. In totale gli Stati Uniti hanno rimandato in Messico 70mila persone nell’ambito dell’accordo stretto nel dicembre del 2018 tra l’ex presidente Donald Trump e il leader messicano Andrés Manuel López Obrador (centrosinistra). L’arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden ha portato un cambiamento radicale nella politica migratoria di Washington. Il presidente degli Stati Uniti ha annunciato che abolirà il programma Remain in Mexico e che d’ora in avanti nessuno sarà costretto ad aspettare l’udienza in città pericolose come Matamoros. Poi è arrivata la notizia che i migranti saranno ammessi negli Stati Uniti mentre i loro casi vengono esaminati dalle autorità competenti. A partire dal 19 febbraio i richiedenti asilo potranno di nuovo attraversare la frontiera.
Chiudere l’accampamento di Matamoros, diventato il simbolo delle condizioni di vita disumane provocate dall’accordo del 2018, è una delle priorità dell’amministrazione Biden, come ha spiegato la coordinatrice della Casa Bianca per la frontiera meridionale, Roberta Jacobson. In una conferenza stampa online, Jacobson ha illustrato alcuni dettagli del nuovo programma. Prima di poter attraversare il confine i migranti dovranno registrarsi su una piattaforma. “Vogliamo dare a queste persone l’opportunità di presentare una richiesta d’asilo e ottenere un procedimento legale negli Stati Uniti”, ha detto Jacobson. Poi ha sottolineato che l’amministrazione sta collaborando con l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) per mettere a punto un meccanismo che gestisca l’ingresso nel paese dei richiedenti asilo.
Tutti dovranno registrarsi in un sito a cui sta lavorando l’Unhcr, in attesa di un appuntamento, e solo dopo si stabilirà un protocollo per i test del covid-19, di cui si occuperà l’Oim. L’obiettivo è far passare trecento persone al giorno attraverso i due varchi principali della frontiera: Tijuana, nello stato della Baja California, e Ciudad Juárez, nel Chihuahua. Un’altra priorità è smantellare il campo di Matamoros.
Washington, però, ha chiarito che questo non significa “porte aperte”. Le misure riguarderanno solo chi aveva già avviato un procedimento nell’ambito del programma Remain in Mexico. Per gli altri, ha precisato Jacobson, il messaggio è di non presentarsi alla frontiera e di non credere alle voci diffuse dai trafficanti di persone. Ai migranti direttamente coinvolti, rimasti per mesi senza prospettive, l’annuncio di Washington ha ridato speranza, ma anche un po’ di apprensione.
“Sono felice ed emozionata”, dice Ada, 37 anni, originaria di Tegucigalpa, in Honduras. “Finalmente non avrò paura che uccidano i miei figli”, spiega al telefono da Tijuana.
La storia di Ada è quella di una fuga continua: cominciata in Honduras, da cui è scappata a causa delle minacce del suo ex compagno, affiliato alla gang Mara Salvatrucha, e continuata a Tapachula, in Chiapas, dove Ada si è trasferita all’inizio del 2019 con il marito e i due figli. Sperava di restare in Messico e chiedere protezione nel paese, ma a maggio ha avuto un nuovo imprevisto: ha incontrato due persone che la perseguitavano a Tegucigalpa ed è scappata di nuovo, questa volta verso Tijuana, per chiedere asilo negli Stati Unti. “Ho avuto paura e non ho attraversato il confine illegalmente”, spiega.
Così Ada e la sua famiglia si sono iscritte nelle liste per passare la frontiera al varco del Chaparral, tra Tijuana e San Diego. Sono passati sei mesi prima di ottenere un appuntamento, a novembre del 2019. Nell’anno trascorso a Tijuana Ada ha subìto un tentativo di violenza sessuale e un’aggressione in cui hanno provato a portarle via la figlia. “Chiediamo solo di essere protetti. Ho bisogno che qualcuno si prenda cura dei miei figli, non voglio dormire pensando che non ci risveglieremo”, dice.
Anche Gabriel non voleva lasciare l’Honduras, ma è stato costretto a partire per evitare le estorsioni e le minacce di morte.
Oggi Gabriel e Ada hanno una speranza: che si apra di nuovo la frontiera da cui sono stati espulsi più di un anno fa. A quel punto sarà un giudice a stabilire se potranno ottenere asilo. In ogni caso, almeno per un po’ di tempo, saranno al sicuro. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1397 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati