A novembre, dalla periferia di Parigi, il regista Ladj Ly ha fatto irruzione nei cinema con un messaggio importante: la Francia multiculturale esiste, e non se la passa bene. Il messaggio nasce dall’esperienza diretta di Ly. Trentanove anni, figlio di un netturbino arrivato dal Mali, Ly ha incorniciato la sua vita in un film brutale, intitolato Les misérables, _che racconta la durezza della _banlieue parigina popolata dagli immigrati. Il film (in uscita in Italia il 30 gennaio) è stato applaudito dalla critica francese, ha destat0 l’interesse del presidente della repubblica Emmanuel Macron, ha vinto il premio della giuria a Cannes ed è tra i cinque film candidati agli Oscar per la categoria di miglior film straniero.
L’elemento peculiare di Les misérables è la familiarità. Il regista è parte integrante del mondo incompreso che racconta. Un mondo in cui è cresciuto e ancora vive. I film autentici sulle periferie sono rari, in Francia. L’ultimo è stato L’odio di Mathieu Kassovitz (1995), ma è stato realizzato da una persona che veniva da fuori. Il film di Ladj Ly è diverso.
Prima di diventare un regista professionista, Ly era il ragazzino con la videocamera in tasca che filmava gli “interventi” violenti della polizia. Lo faceva anche per proteggere gli abitanti della banlieue. E spesso ne ha pagato le conseguenze. “Mi sono rifatto alla mia storia”, ha raccontato in un’intervista. “Tutto quello che ho messo nel film, dall’inizio alla fine, viene dalla mia vita. È una specie di autobiografia, una testimonianza. Ho cercato di fare un film che somigliasse a noi. Vivere in questi palazzi significa vivere dentro una violenza degradante”.
“Si può vivere solo da rivoltosi”, spiega, usando una parola, révolté, che fin dai tempi dell’Uomo in rivolta di Albert Camus indica lo stato d’insubordinazione permanente nei confronti di ciò che ci circonda. In Les misérables, Ladj Ly sbatte la periferia di Parigi in faccia allo spettatore usando tecniche narrative tradizionali: l’iniziazione della recluta di polizia, l’inseguimento, il buddy film (un sottogenere cinematografico che ha come argomento portante l’amicizia tra due persone), il lungo crescendo della violenza. Ma questi sono solo strumenti che servono a proiettare il pensiero di Ly, come lo è la scelta di affidare i ruoli secondari del film agli abitanti del quartiere.
Ladj Ly è convinto che questo mondo cupo – fatto di case popolari che cadono a pezzi, poliziotti furbi, figli problematici e genitori esasperati – sia nei guai. È un universo di scale fatiscenti, appartamenti affollati e piazze di cemento senza vita. Qui tutti vivono nella miseria, nella misère, come dicono i francesi. Da questa idea deriva anche il titolo del film, un omaggio a Victor Hugo, che scrisse il suo famoso romanzo proprio a Montfermeil, il sobborgo in cui è ambientata la storia di Ly.
Il regista racconta di aver avuto un’infanzia felice, anche se con poche comodità. La sua era una famiglia unita. “Il lavoro di mio padre era duro, ma riusciva a guadagnare decentemente. Non ci accorgevamo nemmeno di vivere in un quartiere pericoloso”. Ma le brutte esperienze hanno trovato il modo d’irrompere nella sua vita. Le ultime scene del film, in cui la polizia cade vittima di un agguato in una tromba delle scale, si ispirano a un fatto reale. “Ho vissuto quell’agguato. Ero terrorizzato”.
I boschetti
A quattordici anni Ladj Ly è entrato casualmente in contatto con il figlio del regista Costa-Gavras. Da quell’incontro è nata la sua ambizione cinematografica. A scuola pensavano fosse destinato a fare un lavoro manuale, come molti bambini del quartiere. L’elettricista, nel suo caso.
◆ ** 1980 **Nasce in Mali.
◆ ** 1983 **Si trasferisce nella periferia di Parigi.
◆ ** 2005 **Realizza un documentario sulle rivolte nelle banlieues.
◆ ** 2011 **Viene condannato per “commenti oltraggiosi” contro dei poliziotti.
◆ ** 2019 **Il suo film Les misérables vince il premio della giuria a Cannes ed è in corsa agli Oscar.
Ma a Ly non interessava. A 17 anni ha comprato la prima videocamera e ha cominciato a girare cortometraggi con gli amici. Quel rapporto è sopravvissuto: oggi gestisce una scuola di cinema, fondata nel 2018. Si chiama Kourtrajmé.
La realtà del luogo in cui Ly ha vissuto, il difficile quartiere popolare chiamato Les Bosquets, si è fusa fin dall’inizio con la sua passione per il cinema. “Ho filmato quello che avevo intorno”, racconta. All’interno del quartiere quella videocamera gli ha regalato un’identità. “Ho cominciato a riprendere la polizia nel 2002. Ero l’unico con una videocamera. Appena i poliziotti arrivavano e la situazione diventava scottante, mi chiamavano subito”, spiega parlando dei ragazzi del suo quartiere. Lo conoscevano tutti. “La videocamera è la sua arma”, sottolinea Jean-Riad Kechaou, un insegnante che vive in zona e ha scritto un libro su Les Bosquets. Kechaou conosce Ly da quasi vent’anni, e nel suo libro lo definisce “il simbolo del quartiere”. “Ha sempre denunciato le ingiustizie subite dalla gente”, racconta. “Dicevano ‘c’è Ladj Ly, dobbiamo smetterla’. La polizia aveva paura di lui. Ly aveva il potere di raccontare i loro interventi. Non c’erano ancora gli smartphone, è stato un precursore”.
“Sono diventato potente”, ammette Ly. “Non mi fermavo mai. Sapevo di avere un’arma formidabile”. Poi aggiunge: “Loro agivano senza scrupoli. Erano gli unici bianchi con cui eravamo in contatto, e ci trattavano come scimmie”. Nel 2005 Ly ha raccontato le rivolte che hanno sconvolto la Francia, producendo un documentario sulla vicenda che però era troppo crudo per la tv francese. Nel 2008 ha ripreso una violenza della polizia che è finita sulle televisioni nazionali. Per un po’ tutti parlavano di lui.
Ly è un fascio di energia. Durante le interviste riesce a malapena a stare seduto. I critici francesi si sono stupiti per l’intensità che pulsa all’interno del suo lavoro. È una qualità abbastanza rara nel mondo addomesticato, statico ed estremamente educato del cinema francese contemporaneo. La videocamera di Ky è nervosa, salta di continuo da una scena all’altra.
L es misérables ha colpito al cuore la Francia, dentro e fuori dai quartieri popolari. “È travolgente”, dice Kechaou, l’insegnante. “Dà un’immagine autentica della banlieue, un’immagine a cui non siamo abituati”. Il titolo del film allude al sentimento di empatia e al contempo di ambiguità che Ly mostra per i personaggi, anche i più ripugnanti. Il poliziotto razzista, Chris, è un uomo con i nervi a pezzi e una famiglia disfunzionale. Issa, giovane immigrato, vittima al centro della storia e contraltare del bambino-eroe Gavroche del romanzo di Hugo, porta dentro di sé una violenza diabolica. Gwada, il poliziotto che brutalizza Issa nell’episodio cruciale, è un francoafricano sull’orlo di un crollo psicologico. L’eroe inatteso, Pento, è un poliziotto bianco e confuso che cerca di fare la cosa giusta in un mondo malvagio, senza capirlo. “Non direi che ho mostrato empatia. Sono stato imparziale”, spiega Ly, parlando degli antieroi del film e soprattutto di Chris, il poliziotto razzista.
L es misérables si snoda in una serie di confronti carichi di tensione, immersi in un’atmosfera di minaccia costante. Tensione tra la polizia e i ragazzi, tra la polizia e i sostenitori dei Fratelli musulmani, tra la polizia e gli operatori che aiutano la comunità e anche tra gli stessi poliziotti. Ly cattura questa tensione con precisione estrema, perché la conosce. “Non ricordo più quante volte sono stato arrestato”, racconta. La polizia si presentava nel suo palazzo e riempiva i corridoi di lacrimogeni solo per farlo arrabbiare. Una volta sono venuti “e hanno spaccato tutto”, dice.
Ladj Ly non è particolarmente ottimista sul futuro dell’integrazione nel suo paese, anche se pensa che gli scontri con la polizia siano meno frequenti che in passato. “Oggi i ragazzi mi dicono ‘il miglior momento della mia vita è stato nel 2005’, quando è esplosa la rivolta nelle periferie di tutta la Francia”. Ly riconosce che la Francia “è cambiata”, a prescindere dal fatto che i suoi abitanti se ne siano resi conto o meno. “Se osservi con attenzione ti accorgi che il paese è multiculturale”. È per questo che il personaggio principale del suo film, Issa, è un meticcio. “Era importante scegliere lui”, spiega, “perché questa è la Francia di oggi”. ◆ as
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1341 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati