Nel suo primo romanzo, La vita facile, Aisling Rawle immagina un reality show estremo: venti persone, chiuse in una struttura nel deserto, devono formare una coppia ogni notte per evitare l’eliminazione. Lily, la protagonista, partecipa al programma convinta che la vittoria possa offrirle una vita diversa. Rawle ricostruisce con precisione il funzionamento del gioco: le telecamere sempre accese, le prove arbitrarie, le ricompense minime. L’autrice rende credibile questo mondo regolato da compiti umilianti e da decisioni aleatorie. Lily non è una protagonista carismatica: è insicura, poco propensa all’azione, a volte sembra quasi invisibile. Ma questa scelta consente al romanzo di mostrare come il gioco deformi i rapporti e la percezione di sé. La trasformazione del personaggio è lenta (forse troppo per alcuni) ma suscita una riflessione più ampia sulle dinamiche dell’intrattenimento e sulla nostra complicità di spettatori. All’inizio la narrazione procede con cautela, poi il romanzo trova un suo equilibrio tra tensione narrativa e critica sociale. Ne emerge una satira del voyeurismo mediatico che non rinuncia a chiedere la nostra complicità: il desiderio di seguire la gara fino all’ultima eliminazione rimane fortissimo.
Kirkus Reviews
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Questo articolo è uscito sul numero 1641 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati