In Sudan la polarizzazione politica e militare è peggiorata dopo che il 30 agosto il generale delle Forze di supporto rapido (Rsf) Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, ha formato un governo parallelo a quello che fa capo ad Abdel Fattah al Burhan, il comandante delle forze armate sudanesi. La rivalità tra Hemetti, ormai rinchiuso nelle sue roccaforti nel Darfur e del Kordofan, e Al Burhan, che controlla praticamente il resto del paese, è diventata più di una semplice disputa tra leader. La presenza in Sudan di due governi comporta il rischio di una disgregazione territoriale che avrebbe conseguenze gravi per una popolazione stretta in una morsa dall’inizio del conflitto nel 2023. La frammentazione amministrativa porterà di certo al crollo dell’economia nazionale, con il conseguente aggravarsi della catastrofe umanitaria, la rovina delle infrastrutture e l’esodo di massa dei giovani verso l’Europa o l’America.
Se a tutto questo si aggiunge la minaccia reale che aumenti l’instabilità regionale e che il conflitto coinvolga i paesi vicini, si può dire che il dualismo del potere farà sprofondare ulteriormente il Sudan, aprendo la strada a una balcanizzazione irreversibile, prospettiva che molti osservatori temevano.
Una mediazione imparziale
Per scongiurarla sarà necessario arrivare presto a un cessate il fuoco, attraverso un accordo che metta al centro le vere vittime di questa guerra assurda, cioè i civili. Purtroppo tutto lascia pensare che il Sudan, che muore più a causa dell’indifferenza della comunità internazionale che delle bombe sganciate dalle fazioni in lotta, stia ancora una volta giocandosi la sopravvivenza e che continuerà ad affondare finché le grandi potenze terranno lo sguardo fisso su altri conflitti. In una situazione come questa l’idea di dividere un paese agonizzante in zone distinte d’influenza potrebbe sembrare una soluzione pragmatica, nell’ipotesi che ogni fazione possa amministrare il suo territorio senza interferenze. In teoria, diminuirebbero gli scontri diretti e si passerebbe a una gestione locale delle risorse e delle popolazioni. Tuttavia una simile strategia porta con sé rischi e non è un rimedio miracoloso, perché potrebbe esacerbare le tensioni tra nord e sud e le divisioni etniche e politiche. Rimarrebbero aree abbandonate all’illegalità, dove le popolazioni civili sarebbero ancora più esposte alle violenze.
Invece di cedere alla tentazione di dividere il Sudan, è preferibile cercare soluzioni inclusive e durature al conflitto. Una mediazione imparziale, se sostenuta da garanzie internazionali, potrebbe contribuire a ripristinare la fiducia e a trovare un terreno d’intesa tra i due avversari. Pensare che un negoziato tra Al Burhan e Hemetti sfoci nella pace è utopistico, vista la malafede che hanno dimostrato finora, ma il dialogo intersudanese potrebbe aprire la strada a corridoi umanitari e a cessate il fuoco circoscritti per dare sollievo alle popolazioni martoriate. ◆ _ adg_
◆ Almeno 19 persone sono morte in due bombardamenti il 31 agosto 2025 a Nyala e Al Fashir, nella regione del Darfur: il primo è attribuito all’esercito; il secondo alle Forze di supporto rapido. In questa parte del paese, oltre alla carestia, imperversa un’epidemia di colera che in un anno ha causato più di 2.500 morti.
◆ Il 31 agosto una frana causata dalle piogge torrenziali ha distrutto il villaggio di Tarasin, in una regione isolata sui monti Marra. Il bilancio potrebbe superare i mille morti, ha fatto sapere il gruppo armato che controlla la zona. Afp
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Questo articolo è uscito sul numero 1630 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati