Il 14 giugno l’attenzione degli statunitensi si è divisa tra le celebrazioni patriottiche e le manifestazioni in difesa della libertà d’espressione. In una società tesa, queste spinte opposte mostrano la forza della democrazia, ma anche la sua fragilità.

I promotori delle manifestazioni, organizzate sotto lo slogan “no kings” (no ai re), volevano contrastare la parata militare voluta dal presidente Trump a Wash­ington. Da un lato ci sarebbe stato lo sfoggio della potenza dell’esercito, dall’altro una protesta di massa pacifica contro gli abusi del governo. Ma alla fine questa contrapposizione si è trasformata in una finestra su un paese segnato dall’instabilità politica, dalle divisioni e dalla violenza.

Donald Young è arrivato a Denver vestito da padre fondatore

La tensione era cresciuta nei giorni precedenti, dopo che Trump aveva fatto schierare quattromila riservisti della guardia nazionale a Los Angeles contro il parere del governatore, in risposta alle proteste per le retate di immigrati irregolari. Il 12 giugno un giudice federale della California aveva stabilito che l’azione della Casa Bianca era incostituzionale, ma questo giudizio era stato immediatamente sospeso da una corte d’appello. Lo stesso giorno Alex Padilla, senatore del Partito democratico eletto in California, era stato bloccato a terra e ammanettato dall’Fbi perché aveva interrotto una conferenza stampa di Kristi Noem, la segretaria per la sicurezza nazionale.

Nelle prime ore della mattina del 14 giugno, mentre i carri armati e i soldati si preparavano a sfilare nelle strade della capitale, è arrivata la notizia che in Minnesota un uomo aveva ucciso una deputata statale del Partito democratico e suo marito e aveva ferito un senatore e la moglie. La sera del 15 giugno il presunto assassino, Vance Boelter, è stato arrestato e il governatore del Minnesota Tim Walz ha parlato di attentati politici.

Gli storici fanno parallelismi tra la crisi attuale e altre fasi conflittuali del passato. “Niente di tutto quello che sta succedendo è una novità”, spiega Ellen Fitzpatrick, che insegna storia all’università del New Hampshire. A fare la differenza, sostiene Fitzpatrick, è il comportamento del presidente, che “mette continuamente alla prova i limiti del potere esecutivo e cerca di ridefinirli in un modo che è inaccettabile perfino per alcuni giudici federali nominati da Trump durante il primo mandato”.

In molti casi i giudici hanno bloccato i provvedimenti della Casa Bianca, mentre in altri Trump è riuscito a prevalere. Ma il processo sull’invio di soldati della guardia nazionale a Los Angeles, dove continuano le proteste contro l’arresto indiscriminato degli immigrati da parte dell’Immigration and customs enforcement (Ice), potrebbe avere conseguenze enormi. L’ordine firmato da Trump il 7 giugno, che ha aperto la strada anche al dispiegamento di settecento marines, non riguarda solo la città californiana, e secondo alcuni può portare alla militarizzazione del programma di espulsioni di massa.

Per molti repubblicani le proteste scoppiate a Los Angeles e in altre città governate dai democratici sono un tentativo di bloccare le azioni legittime del presidente. I conservatori accusano i loro avversari politici di voler sabotare operazioni legali contro immigrati che non hanno diritto a stare nel paese. Negli ultimi giorni Walz, che nel 2024 era stato il candidato alla vicepresidenza del Partito democratico, ha acceso il dibattito definendo gli agenti dell’Ice “la gestapo di Trump”.

Può succedere a tutti

Il 14 giugno le strade di Washington si sono riempite di persone che volevano assistere alla parata per commemorare il 250° anniversario della creazione dell’esercito degli Stati Uniti, nel giorno in cui Trump festeggiava 79 anni. L’ultima volta che i veicoli militari e le bande avevano sfilato per la capitale era il 1991, per celebrare la vittoria nella prima guerra del Golfo. In tempo di pace le parate di questo tipo sono rare negli Stati Uniti.

Molti dei presenti sembravano poco interessati alle implicazioni politiche dell’evento, che per chi critica Trump è l’espressione della sua vanità e il simbolo di una deriva simile a quella dei regimi di Russia e Cina. “È un’esperienza che si fa una volta nella vita”, ha detto con entusiasmo Andrew Mourog, un uomo del Maryland che sta pensando di arruolarsi. “Sono qui per celebrare la nostra storia e per vedere questi mezzi fantastici”. Jerry Henson non avrebbe mai potuto perdersi la parata, perché tra i soldati che sfilavano c’era anche il figlio. “Siamo qui per sostenerlo”, ha dichiarato. Ex riparatore di cavi ad alta tensione, Henson ha votato due volte per Trump. Seduto insieme al nipote e a un altro parente, ha aggiunto che protestare è un diritto, ma che le violenze a Los Angeles lo preoccupano. Tra la folla risaltavano i berretti con lo slogan Make America great again, mentre le bandiere statunitensi venivano calate dall’alto da una squadra di paracadutisti.

Le stesse bandiere, in alcuni casi capovolte, spiccavano nelle manifestazioni “no kings”. Secondo i promotori, cinque milioni di persone hanno partecipato in più di duemila città, con grandi folle a Filadelfia, Chicago, New York e Los Angeles.

All’inizio della settimana Gavin Newsom, il governatore della California, aveva definito un “pericolo per la democrazia” la decisione di Trump di inviare i soldati a Los Angeles. “Questa situazione riguarda tutti. La California è il primo bersaglio, ma non sarà l’ultimo”, ha detto Newsom. “La democrazia è sotto attacco. Il momento che temevamo è arrivato”.

Alcuni manifestanti hanno espresso la stessa preoccupazione. Sarah Wideman, che nel 2017 era alla marcia delle donne a Washington contro il primo mandato di Trump, ha partecipato alla contestazione a Denver. Ha detto che oggi è più spaventata rispetto a otto anni fa, soprattutto per come sono trattati gli immigrati. “Se può succedere a loro, può succedere a chiunque viva nel paese”. Donald Young è arrivato a Denver vestito da padre fondatore e con una copia della dichiarazione d’indipendenza. Sostenitore del Partito democratico, ha detto che “dovremmo salire sui tetti e urlare” per contrastare l’attacco di Trump allo stato di diritto. “Il congresso si è arreso e la corte suprema è stata svuotata”.

A Thousand Oaks, in California, centinaia di persone si sono riunite su un cavalcavia che attraversa l’autostrada 101 a nord di Los Angeles. Secondo Candace Kaplan, pensionata ed ex dipendente dell’American Airlines, i cittadini sono sempre più consapevoli delle violazioni del presidente. “L’unica cosa buona che ha fatto Trump per me è stata svegliarmi. Le sue azioni stanno svegliando la gente , che gli piaccia o no”.

I democratici continuano a lanciare l’allarme sui rischi di una deriva autoritaria, ma gli elettori lo hanno già sentito altre volte in passato. Il presidente ha subìto due procedure di impeachment per le sue azioni durante il primo mandato, e una era per aver incitato i manifestanti che avevano preso d’assalto il campidoglio nel tentativo di rovesciare il risultato delle elezioni del 2020. Tornato alla Casa Bianca, Trump ha concesso la grazia a circa 1.600 persone condannate per aver partecipato a quel golpe fallito. E durante la precedente amministrazione, il presidente Joe Biden e la vicepresidente Kamala Harris avevano cercato di mobilitare gli elettori dipingendo Trump come una minaccia per la democrazia, una strategia che non ha premiato Harris in una campagna elettorale dominata da altri temi, come l’immigrazione e il costo della vita.

Arresti in tribunale

Gli elettori di Trump pensano che a Los Angeles stia semplicemente garantendo l’ordine pubblico. Chi lo contesta, invece, è convinto che gli ultimi sviluppi siano un passo preoccupante verso la politicizzazione dell’esercito, che con il passare del tempo potrebbe essere normalizzata e mettere a repentaglio il governo civile. Se i tribunali dovessero dargli ragione sull’invio di soldati a Los Angeles, il presidente sarebbe libero di fare lo stesso nel resto del paese. Secondo gli esperti è molto rischioso schierare soldati non addestrati in contesti urbani per garantire l’ordine pubblico, soprattutto considerando che le retate dell’Ice continueranno a scatenare la reazione degli attivisti.

Le ultime posizioni di Trump sull’immigrazione sono state contrastanti. Il 13 giugno ha fatto capire di voler allentare la pressione su settori economici che dipendono dalla manodopera straniera, come l’agricoltura e l’accoglienza. Allo stesso tempo continua a chiedere all’Ice di fare tremila arresti al giorno, in modo da raggiungere l’obiettivo di un milione di espulsioni all’anno. I funzionari dell’amministrazione sostengono che in alcune città governate dal Partito democratico la mancata collaborazione della polizia, che si sarebbe rifiutata di consegnare gli immigrati detenuti nelle prigioni statali, abbia costretto l’Ice a dare la caccia ai migranti nelle loro case, sui luoghi di lavoro e in alcuni casi nei tribunali dove si tengono le udienze per i permessi di soggiorno.

Il generale Scott Sherman, che supervisiona le truppe della guardia nazionale schierate a Los Angeles, ha spiegato che i soldati in servizio non sono autorizzati a fare arresti ma possono bloccare persone violente prima di consegnarle alle forze dell’ordine. Sherman ha precisato che i soldati della guardia nazionale e i marines stanno partecipando a un addestramento per gestire la folla in situazioni di rivolta. “Non facciamo parte delle forze dell’ordine, non siamo preparati per queste situazioni”.

Ascoltare e rispettare

A Pflugerville, un sobborgo di Austin, in Texas, alcune centinaia di persone sono scese in piazza. Wesley Webb, veterano della marina, non era sicuro di voler partecipare ma si è deciso dopo che il presidente ha minacciato di far pagare un “prezzo molto alto” a chi avesse protestato contro la parata militare di Washington. “È una violazione chiara del primo emendamento”, ha spiegato.

In piedi in uno spartitraffico tra quattro corsie, Abhiram Garpati indossava un berretto Maga e mostrava cartelli con i nomi di Trump e del vicepresidente Vance. “Sto difendendo il mio paese”, ha detto. “Loro invece vogliono distruggerlo”. Qualche automobilista si è fermato per chiedergli un cartello di Trump, ma la maggior parte suonava il clacson in segno di disapprovazione. I poliziotti prestavano attenzione ogni volta che un manifestante si avvicinava a Garpati, che in passato si è candidato due volte al congresso senza essere eletto.

Poche ore dopo l’uomo era davanti alla sede del parlamento texano, ad Austin. Anche in questo caso era da solo, con il suo berretto e i suoi cartelli. Nessuno lo ha infastidito. “Siamo una democrazia”, ha dichiarato. “Tutti hanno quanto meno il dovere di ascoltare e rispettare chi la pensa diversamente”. ◆ as

Questo articolo è stato scritto da Simon Montlake, Caitlin Babcock, Henry Gass, Sarah Matusek e Ali Martin.

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Questo articolo è uscito sul numero 1619 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati