È anche scontato dirlo ma il pianoforte non è certo un semplice mobile. Verticale in un modesto soggiorno o imponente in un ricco salone, è uno strumento che occupa un grande spazio. Spesso succede che la vita quotidiana di una famiglia sia organizzata intorno a lui, anche più che intorno al tavolo su cui si mangia. Così quando scompare, e anche chi ha posato le mani sulla sua tastiera svanisce tra le nebbie di Auschwitz, è un po’ come se l’anima della casa svanisse. Ma le sue note continuano a risuonare nella memoria. Nel libro Harmonies volées Caroline Piketty, storica e archivista specializzata nella spoliazione delle famiglie ebree francesi, s’interessa ai pianoforti che i nazisti hanno sottratto durante l’occupazione: quasi ottomila presi e trasferiti a opera del commando speciale dedicato agli strumenti. Piketty ha ricostruito le storie dei pianoforti e delle famiglie che li possedevano. Alcune incredibili come quella di Rivka Ziboulsky, che scampò alle persecuzioni e ritrovò il suo pianoforte con il volto del padre, morto nei campi di sterminio, impresso sui tasti. Le Monde
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Questo articolo è uscito sul numero 1613 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati