La visita il 30 agosto del ministro della difesa israeliano Benny Gantz al presidente palestinese Abu Mazen ha messo fine a un decennio d’interruzione dei contatti tra i due lati della linea verde che ha separato la Cisgiordania dallo stato ebraico fino all’occupazione del 1967. Ma non riapre il processo di pace, bloccato dal 2014. L’annuncio di un piano per rafforzare l’economia palestinese è arrivato due giorni dopo l’incontro a Washington tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il primo ministro israeliano Naftali Bennett.

Come responsabile politico dell’occupazione militare, Gantz è stato incaricato di offrire un prestito di emergenza da 500 milioni di shekel (132 milioni di euro) per rimettere in sesto l’Autorità Nazionale Palestinese, un anticipo sulle tasse riscosse da Israele a nome dell’istituzione palestinese. Allo stesso tempo il governo israeliano ha offerto mille permessi di lavoro per i palestinesi e centinaia di licenze per la costruzione nell’area della Cisgiordania su cui mantiene il controllo esclusivo. Alla Casa Bianca Biden ha difeso formalmente la soluzione dei due stati, ma il primo ministro israeliano ha ribadito che “non esiste e non esisterà un processo diplomatico con i palestinesi”.

Il prestito di Israele è un salvagente per Abu Mazen, vicino agli 86 anni, al potere dal 2005 e messo in discussione dai palestinesi stanchi della corruzione del suo governo. Con un’economia in piena crisi, l’aiuto israeliano è un sostegno per il leader palestinese davanti alla minaccia dell’islamismo di Hamas. Ma difficilmente l’assenza di una qualunque speranza di ottenere uno stato indipendente potrà soddisfare i palestinesi, gli stati vicini o la comunità internazionale. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1425 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati