istruzione
Nei primi tre mesi della pandemia Shawnie Bennett, una madre single di Oakland, negli Stati Uniti, ha perso il lavoro e il fratello, morto di covid-19. Il dolore ha reso ancora più duro sopportare il peso del lockdown, e nel frattempo doveva anche aiutare sua figlia Xa’viar, otto anni, a seguire le lezioni a distanza. A novembre del 2020 Bennett l’ha iscritta ai corsi online organizzati da un gruppo di genitori del quartiere, che garantivano l’assistenza di un tutor ogni sabato mattina. Un test svolto a maggio ha dimostrato che le capacità di lettura stanno migliorando rapidamente. Le lezioni del fine settimana sono uno dei numerosi servizi online introdotti nell’ultimo anno dal gruppo di supporto The Oakland reach. Neanche un terzo dei bambini neri e ispanici che vivono nella città statunitense ha una competenza di lettura adeguata alla sua classe, dice Lakisha Young, cofondatrice dell’organizzazione. Da cinque anni lei e gli altri genitori chiedevano miglioramenti nel campo dell’istruzione. Quando le lezioni si sono spostate online, hanno cominciato ad assumere insegnanti per lavorare direttamente con i bambini. Young è convinta che le famiglie che hanno beneficiato di questi servizi saranno più esigenti con le loro scuole. Il distretto scolastico ha già trovato fondi per adottare e allargare alcune delle iniziative del gruppo.
A volte i grandi sconvolgimenti cambiano in meglio la scuola. Dopo la seconda guerra mondiale, nel Regno Unito fu introdotto il Butler act, una legge che aumentava gli anni di scuola dell’obbligo e aboliva le tasse scolastiche ancora richieste da molti istituti statali. Dopo che nel 2005 l’uragano Katrina devastò New Orleans, le autorità avviarono importanti riforme scolastiche e nove anni dopo la percentuale dei laureati era aumentata tra i 9 e i 13 punti.
Il covid-19 ha provocato una sospensione dell’attività scolastica senza precedenti. A metà aprile del 2020 più del 90 per cento degli studenti in tutto il mondo era fuori dalle aule. Le chiusure sono durate mesi, con conseguenze negative per l’apprendimento, la sicurezza e il benessere dei ragazzi. Ma ora che nei paesi avanzati si sta tornando nelle classi, chi si batte per le riforme spera che la crisi favorisca cambiamenti che rendano le scuole più efficienti, flessibili ed eque.
Chi critica la scuola ama ripetere che è cambiata ben poco dall’ottocento, quando nacquero i grandi istituti che dividevano gli alunni per fasce di età. È un’esagerazione, ma i modelli scolastici tradizionali si sono dimostrati longevi, afferma Larry Cuban, storico dell’istruzione dell’università di Stanford. Secondo lui, i genitori apprezzano l’efficienza e la sobrietà della scuola tradizionale.
Eppure, anche prima della pandemia, c’erano buoni motivi per chiedersi se le scuole dei paesi avanzati fossero all’altezza dei tempi. Nei test condotti nei paesi che fanno parte dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) i ragazzi e le ragazze non ottenevano risultati migliori rispetto a vent’anni fa, anche se la spesa per alunno è aumentata (gli analisti dell’Ocse hanno precisato che gli alunni con i punteggi più bassi sono quelli le cui scuole sono state chiuse più a lungo). Molti si annoiavano: da un sondaggio Gallup del 2017 è emerso che negli Stati Uniti solo un terzo degli studenti degli ultimi anni delle superiori trovava le lezioni “interessanti”.
L’assistenza a singoli alunni o a piccoli gruppi può aiutare chi è in difficoltà
Il covid-19 e la chiusura degli edifici scolastici hanno costretto gli insegnanti a passare da un giorno all’altro alle lezioni a distanza, affidandosi a piattaforme online sviluppate partendo da strumenti pensati per le aziende. I programmi di studio sono stati ridotti. Il Regno Unito, la Francia e l’Irlanda, tra gli altri, hanno annullato gli esami di fine anno. Per una parte del 2020 molte scuole statunitensi hanno evitato i voti, limitandosi a promuovere o bocciare. Per la grande maggioranza delle famiglie statunitensi l’insegnamento online è stato “tra il deludente e il disastroso”, afferma Justin Reich, del Teaching systems lab del Massachusetts institute of technology (Mit). I dati provenienti da tutto il mondo lasciano intendere che in media gli studenti hanno imparato molto meno di quanto avrebbero fatto normalmente. A marzo del 2021 nel Regno Unito quelli della scuola primaria erano rimasti indietro di quasi tre mesi. Ritardi simili sono stati registrati in Belgio. Uno studio condotto sugli alunni dei Paesi Bassi ha rilevato che nella prima metà del 2020 in otto settimane di didattica a distanza l’alunno medio non aveva imparato niente di nuovo.
Le ragazze e i ragazzi che erano già svantaggiati ne hanno risentito di più. Secondo lo studio olandese, i bambini con genitori poco istruiti hanno perso in apprendimento il 50 per cento in più degli altri. Nell’autunno del 2020 in Ohio, negli Stati Uniti, i bambini di otto e nove anni erano indietro nell’apprendimento dell’inglese di circa un trimestre rispetto ai coetanei degli anni precedenti. I punteggi degli alunni neri erano diminuiti di quasi il 50 per cento in più rispetto a quelli degli alunni bianchi.
Accelerazione tecnologica
La chiusura delle scuole ha evidenziato l’importanza delle lezioni in presenza per la salute mentale e fisica degli studenti. In Italia i bambini e le bambine hanno mangiato in modo meno salutare quando le scuole erano chiuse. E le segnalazioni di abusi sui minori sono diminuite soprattutto perché gli insegnanti, spesso i primi a individuare i maltrattamenti, non hanno visto gli alunni di persona. Yoshinaga Sakura, che insegna in una scuola media di Numazu, in Giappone, racconta che quando le scuole sono rimaste chiuse alcuni bambini sono stati lasciati a casa da soli perché i loro genitori dovevano ancora andare a lavorare. Sakura pensa che i casi di autolesionismo siano aumentati. Euan Morton, insegnante in una scuola secondaria di Melbourne, in Australia, afferma che alcuni ragazzi che hanno seguito la classe online sembrano meno maturi di quanto ci si potrebbe aspettare per la loro età: “Lo sviluppo sociale non è andato di pari passo con quello accademico”.
Ma ci sono stati anche alcuni lati positivi. La crisi ha rafforzato i legami tra insegnanti e genitori, cosa che secondo le ricerche fa aumentare il tasso di frequenza degli studenti e alla fine determina risultati migliori. Più della metà dei dirigenti scolastici statunitensi intervistati dalla Johns Hopkins university ha affermato che i contatti sono più stretti rispetto a prima della pandemia. “Non ho mai parlato tanto con i genitori come in quest’ultimo anno”, dice l’insegnante Katerine Dionne.
La crisi ha imposto l’uso delle tecnologie a una categoria professionale che era stata lenta ad adottarle. Non c’era “alternativa” se non quella d’investire nei computer, afferma Victoria Richmond, direttrice di una scuola elementare britannica. Ora che i suoi alunni sono tornati in classe, i tablet distribuiti dalla scuola si stanno rivelando utili: per esempio, permettono ai bambini la cui prima lingua non è l’inglese di leggere la traduzione in diretta delle lezioni. Secondo Stephanie Downey Toledo del distretto di Central Falls, negli Stati Uniti, la pandemia ha accelerato di un decennio gli investimenti in tecnologia delle sue scuole. Uno degli istituti del distretto ha montato un trasmettitore che porta la banda larga alle case che non hanno un buon collegamento. Intanto, secondo la società di ricerca Holon iq, gli investimenti nelle aziende che sviluppano tecnologie per la didattica sono più che raddoppiati, passando dai sette miliardi di dollari del 2019 ai circa sedici del 2020.
Alcuni studenti sembrano aver ottenuto risultati migliori seguendo i corsi a distanza, per esempio chi soffre di ansia o è vittima di bullismo. I più timidi, che non amano parlare in classe, hanno trovato le videochiamate e le chat meno stressanti. Jal Mehta, dell’università di Harvard, pensa che l’apprendimento online abbia probabilmente aiutato anche alcuni ragazzi brillanti che però “trovano faticosi gli aspetti sociali della scuola”. Neema Avashia, un’insegnante di Boston, negli Stati Uniti, ammette che la frequenza di alcuni studenti è aumentata quando, per partecipare alla lezione, dovevano solo accendere un computer. Lila Conte, un’alunna di 12 anni, sostiene che l’apprendimento a distanza le ha reso più facile frequentare la scuola quando si sentiva un po’ giù di morale.
La chiusura delle scuole ha poi accresciuto la consapevolezza delle disuguaglianze. Anche prima della pandemia i sedicenni delle famiglie britanniche più povere restavano indietro di circa 18 mesi rispetto ai loro coetanei più ricchi. Il divario tra gli studenti statunitensi più forti in matematica e quello dei più deboli si stava ulteriormente ampliando. Guardare gli insegnanti che si impegnavano per far arrivare i dispositivi, le connessioni wifi e i pasti agli studenti poveri ha permesso di capire a chi è estraneo al mondo della scuola quanto lo svantaggio fuori dai portoni di una scuola influenza la capacità di un bambino di trarre vantaggio da ciò che succede dentro quei portoni.
Non è troppo presto per chiedersi come questo possa essere usato per migliorare le scuole in futuro. Le esperienze del covid-19 probabilmente incoraggeranno chi sostiene che le scuole devono fare di più per sviluppare le capacità dei bambini e delle bambine e aiutarli ad affrontare le emergenze. Gli alunni che venivano quasi imboccati dal loro insegnante prima della pandemia hanno trovato più difficile l’apprendimento a distanza, pensa Andreas Schleicher, dell’Ocse, e questo dimostra che le scuole dovrebbero aiutarli a imparare in modo indipendente, in vista di un futuro in cui la tecnologia costringerà il personale a riqualificarsi di continuo.
Schleicher sostiene che adattare la scuola alle esigenze specifiche di ogni studente è essenziale per colmare le lacune nei risultati. “Imponiamo lo stesso tipo d’istruzione a tutti, quindi perché ci sorprendiamo dei risultati quando l’apprendimento dipende dalla loro condizione sociale?”. Secondo Schleicher, in troppi luoghi le scuole sono “giganteschi sistemi di smistamento che non sono progettati per facilitare la crescita individuale”. Paul Reville, dell’università di Harvard, pensa che le scuole debbano allontanarsi dal “modello industriale”, che fornisce a ogni studente lezioni simili per un periodo di tempo simile, e spostarsi verso il “modello medico”, in cui si presume che fin dall’inizio gli studenti avranno bisogno di vari tipi di assistenza e per periodi diversi.
Prima della pandemia un gruppo di scuole statunitensi, ristretto ma in continuo aumento, rifiutava le strutture tradizionali a favore delle cosiddette “classi multigrado” che riuniscono alunni di diverse fasce d’età. Nel modello tradizionale gli studenti passano alla classe successiva ogni anno, anche se i loro progressi in alcune materie sono più lenti. Pochissimi devono ripetere l’anno. I sistemi più flessibili mirano a rendere più facile garantire a chi è bloccato su argomenti specifici il tempo e l’aiuto di cui ha bisogno, nonché la libertà di andare avanti rapidamente una volta superato ciò che lo stava rallentando. La pandemia potrebbe favorire questo tipo di sperimentazione. Secondo l’ong Nwea, che offre test di valutazione alle scuole, anche prima delle chiusure in alcune classi statunitensi i livelli d’istruzione corrispondevano a sette anni diversi. Oggi le disparità sono quasi certamente più accentuate, rendendo ancora più difficile per i docenti insegnare le stesse cose a un’intera classe.
Gli sforzi per aiutare gli studenti a recuperare sono la prima grande opportunità per gettare le basi di un sistema migliore. Le autorità di molti paesi sono convinte che più assistenza a singoli alunni o a piccoli gruppi può servire. Da un recente studio condotto nel Regno Unito è emerso che dodici ore di tutoraggio potrebbero far progredire le abilità matematiche di un ragazzo quanto tre mesi di scuola convenzionale.
Diventeranno tutti bravi
Se i programmi di tutoraggio ampliati diventassero parte integrante dei sistemi scolastici, gli alunni in difficoltà ne trarrebbero un enorme vantaggio. Già prima della pandemia il programma della Match Charter public school di Boston, negli Stati Uniti, offriva a tutti ripetizioni giornaliere di matematica. Prevede una giornata scolastica più lunga di quella degli altri istituti del quartiere e quindi riesce a inserire queste lezioni senza che gli alunni debbano rinunciare ad altro.
Ma gli aiuti in più non servono a molto se i problemi fuori della scuola distraggono i ragazzi o gli impediscono di frequentare. City connects, un’organizzazione che opera in Irlanda e negli Stati Uniti, è un esempio di come le scuole potrebbero superare questo ostacolo. City connects incoraggia gli istituti a creare piani di sostegno individuali che vadano oltre le difficoltà educative, affrontando problemi emotivi, di salute o familiari. I piani sono seguiti da “coordinatori” appositamente formati, circa uno ogni quattrocento studenti, che aggiornano un database grazie al quale indirizzano gli studenti a servizi come i banchi alimentari, l’assistenza psicologica o la visita oculistica a prezzi sovvenzionati. Mary Walsh, che dirige l’organizzazione, afferma che i governi locali e gli enti di beneficenza spesso offrono servizi utili ma le famiglie non li conoscono o non sanno come fare domanda.
La Reach academy, una scuola britannica, ha creato un “Children’s hub”, che aiuta le famiglie a risolvere problemi relativi all’alloggio o al lavoro. I miglioramenti nelle materie curricolari non “abbatteranno le barriere che impediscono ai giovani di avere successo a scuola”, dice Ed Vainker, tra i fondatori del centro.
E la tecnologia? Reich dell’Mit pensa che l’esperienza della pandemia metterà a tacere le “sciocchezze” sulla capacità della tecnologia di trasformare rapidamente l’istruzione. Spera piuttosto che l’esperienza incoraggerà gli insegnanti a usare la tecnologia in modo sempre più efficace. Thomas Arnett del Christensen institute, un istituto di ricerca statunitense, sostiene che già prima del covid-19 gli insegnanti si erano resi conto che il materiale distribuito a un’intera classe all’inizio della lezione poteva essere presentato attraverso dei video fatti in anticipo. Un cambiamento simile ridurrebbe al minimo la quantità di tempo che gli insegnanti dedicano alle lezioni e gli permetterebbe di aiutare gli studenti ad applicare le conoscenze che hanno già acquisito. Questo potrebbe essere particolarmente vantaggioso per chi resta indietro. Potrebbe anche permettere di continuare con la divisione del lavoro che alcune scuole hanno seguito durante la pandemia, per esempio chiedendo a certi insegnanti di produrre lezioni video da condividere con tutti gli studenti, mentre altri si impegnavano ad aiutare i singoli alunni.
Se la pandemia aumentasse la consapevolezza che non tutti gli alunni traggono vantaggio da un metodo d’insegnamento uniforme, e se indirizzasse l’attenzione e i finanziamenti verso modelli alternativi da migliorare, sarebbe un bene per molti studenti. Anche prima del covid-19, negli Stati Uniti più di trenta stati consentivano ai ragazzi e alle ragazze che avevano la sensazione di non ottenere ciò di cui avevano bisogno dalle scuole convenzionali di iscriversi a quelle online finanziate dal governo. Ma Gary Miron, della Western Michigan university, afferma che questi studenti restavano delusi dalle grandi aziende, spesso lasciate a gestire questi programmi da sole. Secondo Miron, i distretti scolastici fanno un lavoro migliore. Da un sondaggio condotto nel 2020 dall’istituto di ricerche Rand è emerso che un quinto dei distretti scolastici statunitensi stava valutando l’idea di rendere disponibile l’istruzione online anche dopo la pandemia.
E se la pandemia finirà per garantire ai genitori più flessibilità su dove e quando lavorare, l’appetito per nuovi modelli d’istruzione potrebbe aumentare. Agli alunni delle scuole medie e superiori dello Springs studio for academic excellence, una scuola finanziata dallo stato del Colorado, negli Stati Uniti, è richiesto di frequentare la scuola in presenza solo due o tre giorni alla settimana (permettendo a chi vuole di lavorare part-time, per esempio, o dedicarsi a un allenamento sportivo). Per il resto del tempo imparano online. Il preside, David Knoche, pensa che così i suoi studenti traggano più beneficio dal tempo che passano con gli insegnanti di quanto farebbero se fossero costretti a sedersi davanti a loro tutta la settimana. E gli insegnanti, nelle ore in cui le ragazze e i ragazzi imparano in modo indipendente, possono dedicarsi di più a chi è rimasto indietro.
Beneficio accessorio
In teoria, questi modelli non richiedono che ci sia un genitore in casa: le scuole potrebbero riservare spazi controllati per lo studio indipendente. Noam Gerstein, il fondatore della Bina, una scuola elementare online con sede a Berlino, pensa che alcune grandi aziende sarebbero disposte a pagare una scuola online ai figli dei loro dipendenti come beneficio accessorio. Prima o poi creeranno spazi nelle loro sedi in cui si potrà studiare online e, aggiunge Gerstein, ai genitori farà piacere vedere i propri figli durante l’orario di lavoro, per esempio all’ora di pranzo.
Ci sono molti motivi per essere pessimisti sulla rapidità con cui le scuole potranno riprendersi dalla pandemia: gli insegnanti sono esausti, i rapporti tra sindacati e politici si sono logorati, i governi stringono la cinghia; i genitori che hanno dovuto destreggiarsi tra un lavoro a tempo pieno e la supervisione continua dei figli vogliono disperatamente consegnarli a qualcun altro per più tempo, non meno. Ma il rapido passaggio all’apprendimento a distanza ha dimostrato che le scuole sono capaci di drastiche trasformazioni. Riforme che prima spaventavano ora sembrano facili, in confronto.
A Oakland, Shawnie Bennett ha scelto di non rimandare la figlia a scuola quando il distretto l’ha riaperta (per chi desiderava frequentarla in presenza). È ancora preoccupata per l’epidemia. Ma ha deciso che Xa’viar ci tornerà in agosto, all’inizio del nuovo anno scolastico. Sua figlia merita di rivedere i suoi amici e gli insegnanti, dice Bennett. Merita di essere “in un luogo in cui si sente al sicuro e anche amata”.◆ bt
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1416 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati