In un mondo flagellato da leader populisti autoritari, il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador è rimasto lontano dai riflettori. In effetti non ha alcuni dei loro vizi: non deride gli omosessuali, non attacca i musulmani e non invita i suoi sostenitori a distruggere la foresta amazzonica. Difende i cittadini più poveri e non è un corrotto. Ma è lo stesso un pericolo per la democrazia. Obrador divide i messicani in due gruppi: “il popolo”, che lo sostiene, e l’élite­, responsabile di tutti i problemi del paese. Quando ci sono obiezioni legittime ai progetti che più gli stanno a cuore – trasferire un aeroporto, costruire un oleodotto, bloccare una fabbrica – lui indice un referendum. Sceglie un piccolo elettorato che sarà dalla sua parte. Poi dichiara che il popolo ha parlato. Il suo disprezzo per le regole è uno dei motivi per cui le elezioni del 6 giugno sono importanti. Obrador non è candidato e il suo mandato unico scade nel 2024. Ma in palio ci sono il parlamento nazionale e la maggior parte di quelli statali, il governo di quindici stati e migliaia d’incarichi locali. Molti sono insoddisfatti del modo in cui il paese è gestito, ma il 61 per cento della popolazione considera Obrador una brava persona. Molti credono che si preoccupi della gente comune, anche se non ha migliorato la loro vita. I partiti d’opposizione non hanno offerto un’alternativa coerente. Più istituzioni controllerà, più Obrador potrà portare avanti i suoi progetti di trasformazione del Messico.

Rinnovamento urgente

Il presidente ha fatto alcune cose buone, come alzare le pensioni e finanziare tirocini per i giovani. Anche se è un politico di sinistra, ha mantenuto le spese e il debito sotto controllo. Ma soffre di quella che il giornalista venezuelano Moisés Naím definisce “necrofilia ideologica”: un amore per idee che sono state sperimentate e non hanno funzionato. Ha un bel ricordo degli anni settanta, quando un monopolio petrolifero pubblico garantiva risorse nel suo stato d’origine, Tabasco. E sta cercando di ricreare qualcosa di simile, ma vietando gli investimenti privati negli idrocarburi e obbligando le aziende del settore a comprare l’energia prima da fonti statali, indipendentemente dai costi. Ama le ferrovie, e sta investendo sette miliardi di dollari in un inutile progetto a gasolio nel suo stato d’origine. Infastidito dai funzionari che fissano dei bandi pubblici per i contratti, si affida all’esercito per costruire la ferrovia, gestire i porti e combattere il crimine. In altri paesi ricorrere alle forze armate per amministrare enormi quantità di denaro pubblico con scarsa supervisione si è rivelato catastrofico. Ma Obrador non vuole consigli, e la sua scarsa considerazione per la competenza ha reso il governo più inefficiente. Il progetto di piantare alberi ha incoraggiato gli agricoltori a disboscare, in modo da farsi pagare per piantarne di nuovi. La sua politica “abbracci, non pallottole” per contrastare la criminalità organizzata non ha ridotto la violenza.

Obrador ha reagito con grave lentezza alla pandemia e ha speso chiaramente troppo poco per attutirne gli effetti sull’economia. Sta indebolendo il sistema di contrappesi, fa pressione sugli inserzionisti affinché non sostengano la stampa che lo critica, ha tagliato i bilanci degli organismi di controllo o li ha riempiti di suoi sostenitori.

I prossimi tre anni determineranno la gravità dei danni provocati dal presidente messicano. I partiti d’opposizione farebbero bene a collaborare per limitare il suo potere, ma dovrebbero anche imparare da lui. Obrador è popolare perché loro hanno fatto poco per aiutare chi era rimasto indietro durante il boom seguito alla liberalizzazione economica degli anni ottanta. E anche perché gran parte della classe dirigente messicana è corrotta. La politica senza legge e su misura di Obrador non ha reso il Messico più pulito, ha mostrato quanto è urgente un rinnovamento.

Gli Stati Uniti devono fare attenzione allo strisciante autoritarismo che si agita nel paese vicino. A Donald Trump non interessava la democrazia messicana, invece il presidente Joe Biden dovrebbe chiarire con tatto che a lui importa. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1412 di Internazionale, a pagina 29. Compra questo numero | Abbonati