Il presidente statunitense Joe Biden ha già dimostrato immaginazione e coraggio, ma poche delle sue proposte sono più importanti di quella per una tassazione minima globale delle aziende. Gli alleati degli Stati Uniti farebbero bene a cogliere l’occasione. In un mondo di multinazionali, flussi di capitale e transazioni digitali, la tassazione delle aziende pone almeno tre grandi sfide. Prima di tutto, oggi è troppo semplice per le società spostare gran parte dei profitti nei paradisi fiscali o in paesi con imposte basse come l’Irlanda. In secondo luogo i paesi sono impegnati in una “corsa al ribasso” delle tasse per attirare le aziende, che finisce per danneggiarli tutti. Infine è difficile stabilire dove le imprese moderne, soprattutto quelle digitali, svolgono le loro attività.

Per affrontare questi problemi, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha avviato un dibattito che ha individuato i due pilastri di una possibile soluzione. Il primo si concentra su come evitare il trasferimento degli utili in paesi di comodo, il secondo riguarda la necessità di una tassazione minima globale. Eppure fino all’elezione di Biden non è stato possibile raggiungere un accordo. Uno degli ostacoli è che il Regno Unito, la Francia e altri paesi vogliono tassare i giganti digitali che operano nei loro confini ma non pagano le tasse sui profitti. Un altro è trovare un’intesa sull’ammontare della tassazione minima. Il piano di Biden si avvicina alla soluzione, ma non la raggiunge. Prevede un’aliquota minima: all’inizio era del 21 per cento, ma è già stata ridotta al 15. Visto che l’amministrazione vorrebbe portare l’aliquota base negli Stati Uniti al 28 per cento, difficilmente farà altre concessioni. Inoltre la proposta non risolve il problema della tassazione delle aziende digitali: Washington teme che le imprese statunitensi siano discriminate e non vuole un regime fiscale specifico per un dato settore. La proposta prevede invece di concentrarsi sulle cento multinazionali più grandi, che traggono maggiori benefici dai mercati globali, sono più impegnate in attività immateriali e sono in grado di gestire la complessa distribuzione dei profitti transfrontalieri.

Nessun sistema di tassazione globale può essere perfetto, perché i problemi sono complessi e gli interessi dei paesi sono in conflitto. Ma la proposta statunitense ha creato lo spazio per un compromesso che risolverebbe i problemi principali, ostacolando il ricorso ai paradisi fiscali, fermando la corsa al ribasso e impedendo alle grandi aziende di operare liberamente nel mercato di un paese senza pagargli alcuna imposta. È un buon inizio. Ora è fondamentale trovare un accordo soddisfacente. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1411 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati