Dopo le tensioni provocate dalla concentrazione di truppe russe alla frontiera con l’Ucraina e dal peggioramento delle condizioni di salute del leader dell’opposizione russa Aleksej Navalnij, in carcere da gennaio, una nuova crisi diplomatica rischia di far precipitare i rapporti tra Mosca e l’occidente. Il 19 aprile il governo ceco ha espulso 18 dipendenti dell’ambasciata russa a Praga, sospettati di essere agenti dell’intelligence militare coinvolti nell’esplosione di un deposito di armi a Vrbětice nel 2014. Secondo gli investigatori cechi l’attacco, in cui sono morte due persone, era stato ordinato dal Cremlino per fermare la consegna di armi all’Ucraina. In risposta la Russia ha espulso venti diplomatici cechi. Secondo il Moscow Times la crisi farà certamente saltare la vendita di vaccini Sputink V alla Repubblica Ceca e la possibilità che l’agenzia russa Rosatom vinca l’appalto per l’espansione della centrale nucleare di Dukovany. Pochi giorni prima Mosca aveva annunciato di aver sventato un colpo di stato contro il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko organizzato con il sostegno degli Stati Uniti, un’accusa che secondo il quotidiano russo sembra piuttosto una montatura per cementare il controllo di Mosca sulla Bielorussia: “La linea del fronte tra la Russia e l’occidente si sta cristallizzando, e nessuno è più libero di non scegliere da che parte stare”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1406 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati