Raúl Castro va in pensione. Lo fa con un messaggio in cui sottolinea la necessità di vincere l’immobilismo senza tradire “gli ideali di giustizia e uguaglianza della rivoluzione”, e allo stesso tempo allude allo sviluppo “di un dialogo rispettoso per costruire un nuovo tipo di rapporto” con gli Stati Uniti, in un momento critico per l’economia di Cuba. Rilanciare il percorso verso il disgelo avviato da Barack Obama sembra ormai una questione di sopravvivenza.

Raúl, così come Fidel, di cui aveva preso il posto nel 2006 alla guida del paese comunista, non è stato scalzato dalla Cia, dalla caduta del muro di Berlino, dagli esuli di Miami, e neanche dalle ricadute del covid-19, che ha ribaltato molti paradigmi sociali. Raúl esce di scena di sua volontà, costretto più che altro dal passare del tempo (compirà 90 anni a giugno). Un colpo di timone che venga percepito come un atto di continuità è la sua strategia per la sopravvivenza della rivoluzione. L’epoca di Raúl è stata segnata dai cambiamenti e da alcune aperture. Cuba è ancora un regime monopartitico con restrizioni alle libertà e un potere centralizzato, autoritario e repressivo, ma ora ha un modello economico diverso per lo sviluppo del settore privato, anche se i cuentapropistas (lavoratori autonomi) non riescono a contrastare la tradizionale inerzia del sistema.

Protagonista insieme al fratello di alcuni degli eventi più spettacolari del ventesimo secolo, Raúl ha avuto un ruolo di primo piano anche in certi passaggi di quello successivo, come il processo di pace in Colombia. Si conclude così l’epoca dei Castro a Cuba, anche se Raúl continuerà a orientare da dietro le quinte l’attività di Miguel Díaz-Canel, suo successore alla guida del Partito comunista. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1406 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati