In Boulder, il secondo romanzo della scrittrice catalana Eva Baltasar, la protagonista compie due viaggi. Uno, esteriore, prima a sud del Cile e poi in Islanda. L’altro, interiore, è rivolto alla ricerca del perfetto stato di solitudine. La protagonista si è rassegnata a essere conosciuta con il nome di Boulder, il nome con cui l’ha battezzata la sua partner sentimentale, Samsa. Dopo dieci anni di convivenza, Samsa vuole avere un figlio. Insieme decidono, più Samsa che Boulder, di ricorrere alla fecondazione assistita. Da lì nascerà una bambina. Qualche tempo dopo, Boulder lavora come inserviente di cucina. Vedrà la figlia come legalmente concordato. Nel mezzo ci sarà qualche trasgressione a una fedeltà difficile da mantenere, senza costi che non siano la sensazione di vuoto che ne segue. Eva Baltasar crea uno spazio a immagine e somiglianza delle sue protagoniste. Donne che difendono non tanto la libertà del proprio corpo quanto la libertà, con tutti i rischi morali, del corpo femminile. In _Boulder _c’è un riferimento a Kierkegaard. Il filosofo stava per sposarsi, ma si tirò indietro perché si era accorto che quella donna lo avrebbe reso l’uomo più felice del mondo. E non era preparato per un futuro del genere. Neanche le donne di Baltasar sono programmate per la felicità convenzionale. La loro lucidità le rende consapevoli che l’unica cosa reale del sesso sono i corpi. Il resto è un miraggio. Prima di essere romanziera, Baltasar è poeta. E si vede. Uno dei nomi importanti della narrativa catalana contemporanea.
J. Ernesto Ayala-Dip, El País
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1404 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati