La legge approvata dal parlamento iracheno il 1 marzo a favore delle yazide sopravvissute alla violenza del gruppo Stato islamico (Is) è un’ottima notizia, scrive Al Araby al Jadid. Garantirà alle vittime assistenza medica e psicologica, uno stipendio mensile, un’abitazione gratuita e il diritto all’istruzione e all’occupazione. Inoltre definirà le pene per i responsabili dei rapimenti e dei crimini sessuali. La legge però, spiega il quotidiano panarabo, non risolve il problema dei figli nati durante la cattività e lascia le donne ad affrontare un “complesso dilemma”. Gli yazidi infatti non accettano i bambini i cui padri hanno commesso violenza contro la comunità, e sono di un’altra religione. Così le donne sono costrette a scegliere se tornare nelle comunità o restare con i figli. “Stiamo cercando di risolvere il problema”, dice la parlamentare yazida Khaleda Khalil, “ma coinvolge più ambiti: religioso, sociale, umanitario e legale”. Nell’agosto del 2014 gli yazidi furono attaccati dai jihadisti nel nord dell’Iraq. Almeno diecimila persone vennero uccise e circa seimila donne e ragazze furono rapite e vendute come schiave, imprigionate, torturate e stuprate sistematicamente. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1403 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati