Rangoon, 17 marzo 2021 (Reuters/Contrasto)

“Rangoon si è trasformata in una zona di guerra: il cielo è oscurato dal fumo degli incendi appiccati da poliziotti e manifestanti che bruciano qualsiasi cosa incontrino per strada, e i colpi di arma da fuoco risuonano attraverso i quartieri”, scrive Irrawaddy. La risposta di esercito e polizia alle manifestazioni contro il golpe del 1 febbraio in Birmania è sempre più violenta. Si calcola che più di duecento persone siano morte da quando l’esercito ha destituito il governo di Aung San Suu Kyi. Il 15 marzo la rete internet mobile è stata interrotta e in alcune zone della principale città del paese è stata imposta la legge marziale, dopo che 32 fabbriche cinesi a Rangoon sono state attaccate. La Cina, infatti, è vista dai manifestanti come un’alleata dell’esercito golpista. “Pechino è ‘molto preoccupata’ per la sicurezza dei suoi cittadini in Birmania”, scrive Mizzima, “e ha chiesto alle autorità ‘azioni concrete per impedire il ripetersi di atti violenti contro i cittadini cinesi’”. Pechino ha fatto enormi investimenti in Birmania, paese strategico per la nuova via della seta cinese. La Cgtn, l’emittente tv di stato cinese in inglese, avverte che “il paese non lascerà che i suoi interessi siano esposti a ulteriori aggressioni” e che se “le autorità non fermeranno il caos, Pechino sarà costretta a prendere azioni più drastiche per proteggerli”.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1401 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati