Il New York Times vive un periodo particolare. “I lettori della versione digitale aumentano e gli affari vanno bene, ma la redazione è attraversata da tensioni culturali che continuano a causare scandali”, scrive Axios. Il primo è avvenuto nell’estate del 2020: durante le proteste scatenate dall’omicidio di George Floyd a Minneapolis James Bennet, il responsabile della sezione delle opinioni, ha deciso di pubblicare un articolo in cui un senatore repubblicano chiedeva l’intervento dell’esercito; l’indignazione dei redattori ha portato alle dimissioni di Bennet. Alla fine dell’anno l’opinionista Bari Weiss ha lasciato il giornale dicendo che sono i social network a dettare la linea editoriale. All’inizio di febbraio del 2021 Donald McNeil, il principale reporter scientifico del giornale, è finito sotto accusa quando si è saputo che nel 2019 aveva usato una parola razzista in un dibattito con degli studenti sponsorizzato dal giornale. McNeil si è dimesso. E qualche giorno fa David Brooks, uno degli opinionisti di punta, è finito nell’occhio del ciclone dopo che BuzzFeed ha rivelato i suoi conflitti d’interesse. “Questi scandali sono un segnale del fatto che oggi i dipendenti hanno più potere che in passato”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1400 di Internazionale, a pagina 27. Compra questo numero | Abbonati