L’8 marzo si è concluso lo storico “pellegrinaggio” di tre giorni di Jorge Mario Bergoglio in Iraq, durante il quale il papa ha visitato la tormentata comunità cristiana del paese in un gesto di solidarietà e ha incontrato alti funzionari e potenti leader sciiti, lanciando un messaggio di pace tra le religioni. Molti iracheni hanno accolto con entusiasmo la visita del papa – la prima nella storia moderna – ma altri hanno criticato le misure di sicurezza applicate dalle autorità e da gruppi armati vicini all’Iran. In un paese in cui le milizie sostenute da Teheran restano una potenza quasi assoluta e le violazioni dei diritti umani continuano incontrollate, Bergoglio ha avuto un’opportunità unica per fare pressione sulla classe dirigente irachena mettendo in evidenza le ingiustizie.
Ad acclamare l’arrivo del papa è stata soprattutto la comunità cristiana irachena, che ha sofferto sia sotto il dominio del gruppo Stato islamico (Is) sia dopo l’invasione statunitense del 2003, quando è stata abbandonata dai governi a prevalenza sciita, incapaci di garantire la sua sicurezza. Durante la dittatura baathista di Saddam Hussein la comunità cristiana irachena era una delle più grandi del Medio Oriente. Era composta da circa un milione e mezzo di persone, concentrate soprattutto a Baghdad, nel governatorato di Ninive e in piccole comunità nel Kurdistan iracheno. Il regime era influenzato dall’ideologo baathista siriano Michel Aflak, un cristiano. Anche Tareq Aziz, vicepresidente, ministro degli esteri e stretto collaboratore di Saddam, faceva parte della comunità caldea, la più grande delle confessioni cristiane dell’Iraq.
Espulsioni e ricompense
Il benessere della comunità è stato stravolto dall’invasione statunitense e dall’ascesa di milizie e politici sciiti, e di gruppi jihadisti sunniti come Al Qaeda e l’Is. Anche se l’occidente si è concentrato soprattutto sugli estremisti sunniti, in realtà anche i miliziani sciiti hanno preso di mira i cristiani iracheni.
Dopo la sconfitta dell’Is nel 2017, le comunità cristiane irachene sono state cacciate in una campagna di pulizia etnica e confessionale diretta dai miliziani sciiti che combattevano sotto la bandiera delle Forze di mobilitazione popolare (Fmp), una divisione dell’esercito iracheno sostenuta e controllata dall’Iran.
Per esempio, un tempo la città di Bartella era al 95 per cento cristiana. Dopo averla conquistata, i jihadisti hanno imposto una tassa ai cristiani. Chi non pagava o non se ne andava era minacciato di morte. Dopo la sconfitta dell’Is da parte della coalizione a guida statunitense e delle forze di sicurezza irachene, invece di garantire il ritorno dei cristiani, le Fmp hanno ricompensato i combattenti shabak dandogli terre, case e negozi dei vecchi abitanti. Oggi Bartella è a maggioranza shabak, una comunità etnico religiosa della piana di Ninive, seguace dell’islam sciita.
Nel febbraio del 2020 l’America Magazine, una pubblicazione gesuita, ha intervistato Petros Mouche, l’arcivescovo di Mosul, una delle più importanti personalità cristiane in Iraq. Secondo lui l’influenza dell’Iran è in gran parte responsabile del calo dei cristiani iracheni, che oggi sono appena 250mila: “Finché persistono la presenza e l’influenza dell’Iran in Iraq e soprattutto nella piana di Ninive, sarà difficile convivere pacificamente”.
La colpa però non è solo dei gruppi musulmani. Sostenendo di doversi difendere dall’Is, alcuni estremisti cristiani hanno creato le loro milizie e hanno combattuto al fianco delle Fmp. Ma hanno anche diffuso video in cui minacciano di compiere una pulizia etnica contro altre comunità di Ninive.
Forse il colloquio tra Bergoglio e l’ayatollah Ali al Sistani a Najaf contribuirà a denunciare i saccheggi delle milizie sciite e a disinnescare l’estremismo cristiano. Al Sistani ha una grande influenza sulla comunità sciita ed è stata proprio una sua fatwa (verdetto religioso) a creare le Fmp.
Gli effetti della visita papale non riguarderanno solo la comunità cristiana. Molti iracheni che da un anno e mezzo protestano contro gli abusi e la corruzione delle autorità hanno criticato la visita che per loro è stata solo un’opportunità per gli oppressori di ripulire la propria immagine. Il governo si è affrettato ad abbellire le città visitate dal papa, tinteggiando e asfaltando le strade fatiscenti di Baghdad, Najaf, Mosul, Qaraqosh e dell’antica città di Ur, culla delle religioni abramitiche. Molti iracheni vivono in strade non asfaltate che si allagano e hanno poche ore di elettricità al giorno. “Il governo ha riparato le strade per il papa. Non poteva farlo per i cittadini?”, si lamenta un’abitante di Baghdad.
I giornali iracheni e di tutta la regione hanno dedicato molti commenti e analisi alla visita del papa in Iraq. Su Al Mada, quotidiano di Baghdad, l’editorialista Ali Hussein sottolinea che, contrariamente ai politici del paese, il papa si è rivolto a tutti gli iracheni: “Finalmente il mondo ha potuto capire il prezzo pagato dagli iracheni per il settarismo, la corruzione e le lotte interne seguite all’invasione statunitense di 17 anni fa. Se tutti vogliono essere il Mandela dell’Iraq, devono ricordarsi quello che Mandela scrisse sulla sua copia dell’Amleto in carcere: ‘Un politico coraggioso non parla ai bassi istinti del pubblico, ma alla sua mente’. Questa è stata la lezione del papa ai nostri politici che non hanno l’Iraq nel cuore, ma piuttosto in tasca”.
Azzaman, un altro quotidiano iracheno, si rallegra che la visita si sia svolta in sicurezza, “cosa niente affatto scontata”. Inoltre l’immagine di Jorge Bergoglio tra le rovine delle chiese a Mosul “ricorda alle autorità locali l’importanza della ricostruzione, senza la quale il ritorno di profughi e sfollati è impossibile”.
Atterrato il 5 marzo a Baghdad, il papa è andato a Najaf, città santa sciita nel sud, dove ha incontrato l’ayatollah Ali al Sistani, poi a Nassiriya, nell’antica città di Ur, a Erbil, nel Kurdistan iracheno, a Mosul, ex capitale autoproclamata del gruppo Stato islamico, e a Qaraqosh, la più grande città cristiana del paese. È ripartito la mattina dell’8 marzo. ◆
Le proteste del 2019 sono state scatenate proprio dalla mancanza di servizi pubblici. Ma la repressione delle autorità, che ha causato circa 600 morti ed è stata condannata anche dal pontefice, ha soffocato il movimento. Ultimamente ci sono state nuove manifestazioni a Nassiriya.
Un innegabile potere
Per garantire la sicurezza del papa sono state imposte rigide restrizioni alla libertà di movimento, intere città sono state blindate e c’è stato un ampio spiegamento di forze. La quasi sconosciuta milizia sciita Brigata dei guardiani del sangue, che ha rivendicato l’attacco contro la coalizione statunitense a Erbil del 15 febbraio (molti la ritengono una copertura della più potente milizia Kataeb Hezbollah) ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale per la durata della visita.
Ma alcuni osservatori sono rimasti indifferenti alle misure di sicurezza e alla tregua dei gruppi armati. “Le milizie sostenute dall’Iran e le autorità sono strettamente legate tra loro”, spiega Ahmad al Mahmoud, esponente dell’opposizione irachena che vive a Londra. “Teheran era favorevole alla visita del papa perché mette in buona luce il suo stato satellite iracheno. Senza gli incontri ai vertici e la comunicazione accuratamente costruita, il mondo continuerebbe a vedere l’Iraq e il suo ordine successivo al 2003 per quello che realmente è: un fallimento”.
Senza dubbio l’Iraq attraversa una crisi di legittimità. La situazione della sicurezza peggiora, la pandemia ha quasi del tutto bloccato un’economia in condizioni già critiche, e Baghdad è riuscita a procurarsi solo 50mila dosi di un vaccino cinese, in un paese con 38 milioni di abitanti. Anche se il papa non conta molto in termini di puro potere politico sulla scena internazionale, il suo soft power è innegabile, e forse è l’unico a poter esercitare una vera pressione per denunciare i mali che affliggono l’Iraq, porgendo allo stesso tempo un messaggio di pace, che gli iracheni di qualunque appartenenza etnica e religiosa sperano riesca ad arrivare. ◆ fdl
Questo articolo è l’adattamento di un’analisi uscita sull’Iraq Report, la sezione settimanale del New Arab dedicata all’Iraq.
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Questo articolo è uscito sul numero 1400 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati