Nella Francia del secondo dopoguerra, un medico si trasferisce in un minuscolo e isolato villaggio, Les Fontaines, un “luogo umido e nebbioso” annidato nell’incavo di scogliere perforate da un torrente nero chiamato Trois-Gueules. Là, un piccolo esercito di “formiche bianche”, legate insieme per l’eternità, sanguina di generazione in generazione nelle miniere o coltiva la terra con il sudore della fronte. Le loro storie sono viste attraverso gli occhi di un “uomo senza passato”, uno straniero venuto dalla città, un prete che vive nel villaggio da quarant’anni. Ma la sua voce si fa presto da parte per raccontarci la storia del medico che si è stabilito lì, un uomo solitario caduto sotto il fascino arido di questo luogo. Poi la storia di suo figlio, che diventerà anche lui medico, della donna che incontrerà, della figlia che avranno insieme. E le loro relazioni reciproche e soprattutto con questo luogo straordinario. Uno strano esotismo che sembra nutrirsi della violenza nascosta del luogo, dove gli elementi della natura condizionano l’esistenza degli uomini. Non sorprende scoprire che Cécile Coulon ha letto Faulkner e Steinbeck. Cronaca di un lento ma inesorabile declino rurale, di una tragedia annunciata, Tre stagioni di tempesta è sorretto da una scrittura potente e meticolosa, che costituisce gran parte della forza del romanzo.
Christian Desmeules, Le Devoir
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Questo articolo è uscito sul numero 1394 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati