Il rispetto dei diritti umani non è mai stato una delle caratteristiche della Repubblica islamica dell’Iran. Ma il rapimento, il processo sommario e l’impiccagione del giornalista Ruhollah Zam segnano una nuova tappa nell’escalation della repressione e nel rafforzamento dell’ala più dura del regime, che si oppone alla ripresa dei contatti con l’occidente.

Zam, 41 anni, rifugiato in Francia dal 2012, gestiva sul social network criptato Telegram il canale Amadnews, seguito da 1,4 milioni di persone, e aveva diffuso le immagini delle manifestazioni contro il regime nell’inverno tra il 2017 e il 2018. Aveva anche rivelato dei casi di corruzione in cui erano coinvolti alti funzionari iraniani. Nonostante gli avvertimenti dei servizi di sicurezza francesi, nel 2019 Zam era andato in Iraq, attirato da finti dissidenti iraniani che promettevano di finanziare i suoi progetti. Arrestato dai guardiani della rivoluzione, è stato costretto a “confessare” davanti alle telecamere e a giugno è stato giudicato colpevole di tutte le accuse, tra cui attentato alla sicurezza nazionale, spionaggio e insulto all’islam.

L’esecuzione di Zam dimostra che il regime dei mullah non si fa più scrupoli a rapire all’estero i suoi oppositori. A ottobre un altro dissidente iraniano rifugiato in Svezia, Habib Chaab, è stato sequestrato a Istanbul. Il fatto che il presidente Hassan Rohani, favorevole a un riavvicinamento con l’occidente, non abbia avuto nessuna reazione di fronte a questi soprusi riflette l’indebolimento dell’ala moderata, su cui si basano le speranze di una ripresa del dialogo suscitate dalla vittoria di Joe Biden alle presidenziali statunitensi. Biden ha lasciato intendere di voler rientrare nell’accordo sul nucleare del 2015, che Donald Trump ha abbandonato nel 2018. I rapimenti all’estero organizzati dai guardiani della rivoluzione dimostrano anche la crescente militarizzazione del regime e l’ambizione dei militari di vincere le elezioni presidenziali previste nel giugno 2021, a cui Rohani non può partecipare perché ha già ottenuto due mandati.

Anche se il complesso equilibrio che vige nelle istituzioni iraniane – tra un presidente eletto ma senza veri poteri, una guida suprema onnipotente e i guardiani della rivoluzione, che non sono sottoposti a nessuna autorità – rende difficili le analisi politiche, questi segnali di aggressività e di sfida sono preoccupanti. L’Iran, che ha saputo mantenere a lungo una sorta di moderazione, si sta trasformando in uno stato canaglia con la complicità almeno passiva dei suoi vicini, Turchia e Iraq. È una deriva preoccupante per tutti quelli che, nella società iraniana messa in ginocchio da una terribile crisi economica aggravata dal covid-19, nella diaspora e tra i partner di questo grande paese, vogliono solo la pace. ◆ ff

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1389 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati