Una settimana dopo aver truccato le elezioni del 9 agosto, il presidente Aleksandr Lukašenko sembrava sul punto di perdere il potere. Centinaia di migliaia di bielorussi erano scesi in strada per protestare. I lavoratori erano entrati in sciopero. La polizia aveva interrotto gli arresti e i pestaggi. Il sostegno della Russia sembrava in discussione. Oggi invece l’opposizione deve affrontare la prospettiva di una lunga e dolorosa lotta. Le forze di sicurezza hanno deciso di sostenere Lukašenko. Il regime sta cercando di soffocare il movimento di protesta. I lavoratori in sciopero sono stati licenziati. I leader dell’opposizione sono stati arrestati. Soprattutto, il presidente russo Vladimir Putin ha minacciato di intervenire a sostegno di Lukašenko. Poco dopo la polizia ha ricominciato ad arrestare manifestanti e giornalisti.

Il tentativo di soffocare l’opposizione rende indispensabile una risposta da parte dell’occidente. Finora l’Unione europea ha risposto con prudenza, cercando di non fornire a Mosca un pretesto per intervenire. L’Unione si è rifiutata di riconoscere la vittoria di Lukašenko e ha cercato di convincerlo, con l’avallo di Mosca, ad avviare un dialogo con l’opposizione. Gli appelli però sono caduti nel vuoto, e ora Putin ha fatto capire di voler sostenere Lukašenko.

L’Unione europea dovrebbe imporre sanzioni mirate contro il governo bielorusso e prepararne altre per la Russia se decidesse di partecipare alla repressione. L’Europa non può influire direttamente, ma può sostenere gli attivisti, i mezzi d’informazione e le vittime della violenza. Lukašenko non potrà più riprendere il pieno controllo. L’economia sarà penalizzata e questo alimenterà il malcontento. La Bielorussia non è l’Ucraina: i suoi cittadini restano favorevoli alla Russia. Ma un intervento di Mosca farebbe cambiare idea a molti. L’Unione teme di provocare Putin, ma deve fargli capire che c’è un prezzo da pagare per la sua ingerenza. ◆ as