L’11 dicembre 2019 la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato di voler trasformare l’Unione europea nella prima economia a emissioni zero, mettendo la lotta contro il cambiamento climatico al centro del suo mandato. Tutte le politiche europee – energia, industria, trasporti, agricoltura – dovranno essere affrontate in considerazione di questo green deal. Un mese dopo Von der Leyen ha compiuto un ulteriore passo, svelando un piano d’investimenti adeguato alla portata dell’obiettivo.
Il 14 gennaio la presidente si è impegnata a creare un meccanismo per la transizione equa, con un budget di cento miliardi di euro tra il 2021 e il 2027, per aiutare le regioni più dipendenti dalle fonti fossili a passare a un’economia con emissioni più basse. I più deboli e arretrati nella transizione energetica dovranno beneficiare di un’assistenza specifica. La Francia l’ha imparato sulla sua pelle, con le proteste dei gilet gialli contro la tassa sulle emissioni. Basterà questo sistema a coinvolgere la Polonia e a superare le perplessità di Repubblica Ceca e Ungheria? Non è detto, visto che gli stati dell’Europa orientale sono molto preoccupati dall’impatto economico di una svolta energetica di questo tipo. Ma l’aspetto interessante del piano è il cambiamento nei criteri di assegnazione delle risorse finanziarie dell’Unione. Dei mille miliardi che dovrebbero essere mobilitati per il _ green deal_ nei prossimi dieci anni, infatti, la metà arriverà dai fondi strutturali e dalla politica agricola comune. La lotta contro il cambiamento climatico farà dunque parte integrante dei criteri di attribuzione degli aiuti europei. Gli stati europei devono ancora approvare le proposte della commissione. Sarebbe un errore non cogliere l’occasione per rilanciare il progetto europeo. In un’Unione divisa, incapace di definire una strategia comune sull’immigrazione e indebolita dalla Brexit, il piano potrebbe mobilitare le giovani generazioni intorno a un obiettivo comune.
Sulla scena internazionale l’ambizione europea si scontra con l’indifferenza degli altri grandi paesi. La Cina, il Brasile, l’Australia e il Canada non vogliono aumentare gli sforzi per ridurre le emissioni, mentre gli Stati Uniti hanno confermato l’intenzione di uscire dall’accordo di Parigi. In queste condizioni il green deal potrebbe innescare una dinamica virtuosa, sempre che non sia soffocato dagli egoismi nazionali. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1341 di Internazionale, a pagina 11. Compra questo numero | Abbonati